domenica 21 dicembre 2008

Scoperto antico tesoro vicino al Cremlino


(ANSA) - MOSCA, 20 DIC - Un antico tesoro e' stato scoperto vicino al Cremlino durante scavi archeologici: monete rare, un braccialetto di vetro e alcune icone. Lo rende noto Aleksander Veksler, capo archeologo di Mosca, secondo il quale la scoperta piu' significativa sono 11 rare monete. L'area interessata dagli scavi e' di 350 metri quadri nel distretto di Kitai Gorad, separato dal Cremlino dalla piazza Rossa e circondato da mura medievali in gran parte ricostruite.

mercoledì 10 settembre 2008

Trovata la grotta di Romolo e Remo a Roma


Individuato il Lupercale, dove nel mito la lupa ha allattato i gemelli. Si trova vicino alla casa di Augusto sotto le pendici del Palatino: nel corso dell'esplorazione di questi giorni, nella parte che dà verso il Circo Massimo, con una sonda a 16 m. di profondità è stata trovata una struttura a forma di ninfeo, che sembra essere una grotta in parte naturale e in parte artificiale, alta circa 9 m.e con un diametro di 7,5.

Perù, riportato alla luce tempio di 4.000 anni fa

Fino ad ora il sito archeologico più antico delle Americhe era Caral, vicino alla costa peruviana, risalente a quasi 2.700 anni fa. Per questo la scoperta avvenuta in questi giorni, sempre sulla costa peruviana, di un tempio risalente a 4.000 anni fa è così importante: costringe gli archeologi e gli storici a rivedere quello che si pensava e si sapeva delle civiltà preincaiche. Walter Alva, l'archeologo che ha diretto gli scavi, ha detto che il tempio "mostra una tradizione architettonica e iconografica diversa da quanto si conosceva fino ad ora. Nel nord del Perù non c'è alcun altro monumento esistente che abbia le stesse caratteristiche(...) Ad essere sorprendenti sono i metodi di costruzione (mattoni di fango e non pietre, n.d.r), il progetto architettonico e soprattutto l'esistenza di affreschi che potrebbero essere i più antichi di tutte le Americhe" Il tempio è stato ritrovato in condizioni così buone perchè apparentemente è stato sepolto da coloro che l'avevano costruito: una volta esaurita la sua funzione è stato interrato in quanto luogo sacro, probabilmente nel corso di una cerimonia (sono stati trovati lo scheletro di una scimmia accanto ad una madreperla e ad un turchese). Per questo gli affreschi si sono conservati così bene. Anche il fatto che sopra al tempio ci fosse (in tempi contemporanei) una discarica ha fatto la sua parte: nessun predatore di reperti archeologici ha potuto accedervi, prima di poter iniziare gli scavi è stato necessario portare via 130 camion di spazzatura!

domenica 3 agosto 2008

Piramidi in Bosnia a Visoko.



Da qualche mese a questa parte, in Bosnia Erzegovina si parla solo delle piramidi di Visoko. Sembra che questa cittadina, ad appena 30 km da Sarajevo, si trovi ai piedi di una formazione collinare che potrebbe nascondere una piramide antichissima, se non addirittura la prima piramide europea dedicata al culto del Sole e databile all’incirca a 12 mila anni fa. L’Unesco, l’organizzazione scientifico-culturale delle Nazioni Unite, invierà molto presto un team di esperti per esaminare se la misteriosa piramide identificata da un archeologo dilettante di Visoko nella collina di Visocica sia effettivamente un’opera edificata dall’uomo oppure no. C’è da precisare che si parla di bosnia e non di piramidi in serbia, come qualcuno erroneamente riporta. Ma chi è che ha fatto questa preseunta scoperta e studia l’archeologia della piramide in bosnia a Visoko?




Semir Osmanagic, autore alcuni mesi fa della segnalazione e del libro “La piramide del Sole della Bosnia”, sostiene che la collina di Visocica ospita una costruzione archeologica di enorme importanza perché le ricerche da lui condotte nell’agosto 2005 hanno portato alla rilevazione di una serie di anomalie lungo i fianchi della collina. Anomalie che non sembrano di origine naturale. I rilievi fotografici svelerebbero una piana d’accesso larga 40 metri e lunga 200, completamente costruita con lastre di pietra, ricoperte di terra e vegetazione allo stato attuale. Non è finita qui. L’ Indiana Jones bosniaco ha scoperto altre due piramidi di dimensioni inferiori, la piramide della Luna e quella del Dragone, e sostiene che queste costruzioni siano opera di una fiorente civiltà che viveva in Bosnia quando l’Europa era preda della morsa del ghiaccio durante le glaciazioni. Tutto questo gran parlare di piramidi sta attirando moltissimi turisti, ansiosi di vedere le piramidi europee. E la popolazione locale si è organizzata per accogliere i visitatori, dando vita a luoghi di ristoro improvvisati. Come improvvisate sono le guide che portano i turisti nella “valle dei re della bosnia”. I rappresentanti del gotha scientifico bosniaco mostrano un fastidioso scetticismo nei confronti delle affermazioni di Osmanagic. Tuttavia Aly Abd Barakat, il geologo egiziano inviato nel maggio scorso dal Cairo per valutare la veridicità delle affermazioni di Osmanagic, sembra confermare che il mondo si trova di fronte ad un’eccezionale scoperta, “una piramide primitiva di un tipo finora sconosciuto” e che i blocchi di pietra ritrovati sembrano connessi tra loro con lo stesso cemento artificiale utilizzato nella costruzione delle piramidi egizie dell’Antico Regno.Ci troviamo davvero di fronte ad una scoperta archeologica di rilevanza mondiale oppure è un trucco per risvegliare l’industria del turismo in un’area dilaniata da anni di guerra? Realtà o leggenda che sia, la Bosnia guarda al futuro. [foto: la Repubblica.it ]







A Visoko (Visoki), cittadina a 30 km da Serajevo, in Bosnia, si sta per riscrivere la preistoria.




Una équipe guidata da Semir Osmanagic, archeologo bosniaco americano, come usa definirsi, nato a Zenica nel 1960, che ha vissuto negli ultimi 15 anni a Houston ed esplorato i siti Maya del Messico, sta compiendo scavi intorno alla collina Visogica che domina la cittadina, la cui inusuale forma geometrica ricorda una piramide. L’archeologo sta cercando di riportare alla luce la costruzione piramidale che si celerebbe conservata intatta dal muschio presente sul terreno.La piramide, contenuta nella collina che si eleva di circa 650 metri, raggiungerebbe un altezza di 220 metri in altezza, con una pendenza di 45 gradi e fianchi di 365 metri di lunghezza, risultando, se tali misure verranno confermate, più grande della Grande Piramide di Giza.Secondo l’archeologo bosniaco anche la collina adiacente nasconderebbe una piramide più piccola.Impegnati nell’impresa geologi dell’Università di Tuzla, specialisti in sedimentologia, mineralogia, petrografia, e altri archeologi che prestano volontariamente il loro contributo mossi dall’opportunità di divenire protagonisti di un’impresa che può cambiare la storia europea.I quattro fianchi inclinati della collina sono interamente coperti di lastre di pietra e orientati con i punti cardinali; la collina possiede un vertice piatto e una scalinata che potrebbe condurre all’ingresso e all’accesso dei locali interni della piramide.Nel luogo sono state rilevate altre colline che potrebbero nascondere altrettante piramidi più piccole, per l’esattezza altre quattro, facendo della regione il più importante sito archeologico europeo.La piramide di Visoko, la più grande delle costruzioni nascoste dalle colline, sarebbe simile a quelle sud americane, per questo le è stato assegnato il nome di "Piramide del Sole" e di conseguenza le altre hanno preso i nomi di "Piramide della Terra", "Piramide della Luna", "Piramide del Dragone"; tutte costruite nello stesso periodo dallo stesso popolo, una super civiltà risalente a oltre 12000 anni fa.L’antichità delle costruzioni sarebbe confermata dal fatto che le rocce presentano alterazioni dovute alla loro permanenza secolare nell’acqua; se le piramidi rimasero sommerse lo furono dopo la fusione dei ghiacci alla fine dell’ultima glaciazione, avvenuta appunto circa 12000 anni fa, questo accerta che tali costruzioni erano già presenti all’epoca.Unendo l’apice delle piramidi del Sole, della Luna e del Dragone, con una linea, otteniamo un triangolo con gli angoli uguali, tutti di 60 gradi, un perfetto triangolo equilatero.Le piramidi sarebbero collegate tra loro un sistema di cunicoli e gallerie sotterranee, ritenute a torto dagli storici miniere medievali di carbone. Il labirinto formato dalle gallerie è stato mappato da un gruppo di esperti che avrebbero anche trovato un sistema di ventilazione.Le immagini satellitari e i sondaggi eseguiti nel terreno hanno permesso di stabilire che la collina non può essere di origine naturale, ma opera dell’uomo.Gli scavi procedono su tre lati: a Sud, in due diversi punti del plateau, sul lato nord e su quello a est.Sul lato sud nella zona del secondo scavo del plateau è stata rilevata la scalinata e con essa blocchi di calcare e lastre in pietra arenaria, materiale non presente nella zona, lavorato e portato sul posto da altre località. Dagli scavi la conferma dell’esistenza di lastre usate per la pavimentazione lavorate a mano e strutture realizzate dall'uomo. I blocchi si sono preservati intatti grazie ai 15 centimetri di muschio che li ha ricoperti; questo ha permesso di rilevare le specifiche forme geometriche dei loro contorni. Chiaramente visibili i lati dei delle pietre e l’area dove sono unite; altrettanto chiari i punti di unione finemente basati. Uno dei blocchi rinvenuti presenta una forma circolare confermando la sua lavorazione manuale. I blocchi risultano tagliati in dimensioni precise con lo scopo di creare la struttura della piramide. Alcune pietre riportano incisioni circolari sopra la loro superficie che ricordano vagamente il segno del labirinto, come quella rinvenuta nella zona del plateau. Uno scavo di nove metri ha permesso di stabilire che il plateau è coperto di tali blocchi che seguono l’angolo della collina.Tutto l’accesso al plateau è pavimentato con lastre di pietra con uno spessore medio di 10 centimetri. L’intera collina è costituita da blocchi di arenaria. Il complesso delle pietre a est della collina è coperto da due metri e mezzo di terra; sul lato a nord le pietre si trovano a un metro di profondità e presentano uno spessore di 70 centimetri e i bordi intatti; il loro peso varia da 10 a 30 tonnellate. Le pietre sono sicuramente lavorate e trasportate sul luogo attraverso l’uso di una tecnologia non in possesso dell’uomo dell’età della pietra.La collina Visogica contiene anche i resti della città medievale fortificata di Visoki usata da re bosniaci per due secoli, costruita sopra l’edificio romano adibito ad osservatorio, a sua volta edificato sopra le rovine di un insediamento risalente a circa 5000 anni fa forse dagli Illiri che abitarono i Balcani prima delle tribù slave insediatesi nel territorio nel 600 a.C..Attualmente a Visoko, in attesa dei turisti e dei curiosi, alcuni ristoratori mettono sulle loro tavole piatti triangolari; un albergo ha cambiato il nome in "Hotel Piramide del Sole" e gli artigiani producono souvenir a forma di piramide.Cercando di attribuire un costruttore alle piramidi si riportano antiche leggende pervase di mistero ed aneddoti popolari non sempre tenuti in considerazione; forse a causa delle note vicende storico politiche della regione degli ultimi anni.Ecco quindi riaffiorare dal passato la leggenda che vede protagonista una donna, la quale avverte che a nessuno è permesso vivere nell’antica città situata sulla vetta della collina se non si è preparati a proteggere, con la vita, i segreti nascosti sotto le sue fondamenta.Quale segreto nasconde la città? Secondo la leggenda la città "mostra due strati". Uno strato è stato consumato dalla pioggia, lo strato della terra; il secondo è un "guscio d’uovo" sottile e fragile. Se il guscio viene danneggiato e il suo contenuto portato via dal diluvio, questo sarà causa di sfortuna per il popolo della valle. Quando i turchi invasero la Bosnia nel 14° secolo e udirono tale leggenda, furono spaventati e non occuparono la città sulla vetta della collina, al tempo capitale della Bosnia; ma si limitarono a conquistare Travnik e Jajce.Un’altra storia riporta che durante alcuni lavori eseguiti sulla strada locale vennero scoperti alcuni blocchi provvisti di iscrizioni, ma non sappiamo che fine abbiano fatto.Alcune testimonianze parlano degli strani fenomeni che si verificavano quando scoppiava una bomba vicino alla Visogica; sembrava che l’esplosione passasse attraverso la montagna come accade quando esplodono le mine in miniera.Tali gallerie erano conosciute da tempo da tutti; i ragazzi usavano esplorare la montagna proprio attraverso tale serie di gallerie esistenti a nord della piramide e al suo interno, nonostante che gli accessi nelle vicinanze delle piramidi del Sole e della Luna fossero stati chiusi al pubblico fin dal 1960.I cunicoli della costruzione più grande, tutti artificiali e con pareti diritte e levigate, sono stati esplorati per circa 200 metri; fino all’unione con altri piccoli tunnel, tutti a 90° l’uno dall’altro.Ancora storie locali narrano di ragazzi che, entrando nella piramide più piccola attraverso un fiume che scorre nel luogo, sbucarono sulla vetta della piramide fra le rovine di una città medievale protetta da mura. Per questo tutti sono convinti che uno dei tunnel potrebbe collegare le due piramidi e conferma l’esistenza di un sistema di gallerie sotto tutte le piramidi; secondo gli archeologi si troveranno camere al loro interno.A tutto ciò si aggiunge un episodio avvenuto l’estate scorsa: durante i lavori di scavo eseguiti in un giardino, allo scopo di costruire una piscina, venne ritrovato un muro con l’ingresso di un tunnel che conduceva nella "Piramide del Sole". A quanto dichiara Semir Osmanagic sotto la collina Visogica, e quindi sotto la "Piramide del Sole", si troverebbero anche due piccoli laghi.Semir Osmanagic ci rivela un altro luogo pieno di mistero, attraverso il racconto di un suo amico professore che esplorò le Caverne Nere del Monte Majevica nell’area di Brcko.Il professore trovò all’entrata di una delle caverne un enorme megalito con appesi alcuni anelli metallici. Nei punti in cui gli agenti corrosivi del tempo non avevano attaccato gli anelli, questi apparivano composti da una lega di acciaio di notevole qualità. Il professore non ha saputo dire quanti fossero gli anelli e neanche con quale metodo erano stati incastonati nella pietra, perché erano assenti giunti, saldature e altri segni di unione: il cerchio del metallo che formava la loro struttura risultava compatto e continuo, senza traccia delle estremità. Le pareti erano piene di conchiglie marine fossilizzate; anche il pavimento ne era ricoperto, ma queste ultime non erano avevano avuto il tempo di fossilizzarsi, evidenziando in tal modo che si erano depositate in due periodi diversi, separati da un congruo intervallo di tempo. Il tipo di conchiglie non è presente nelle acque del vicino fiume Sava a conferma che la zona è stata sotto il livello del mare in epoche diverse.Sembra inoltre che nel fiume sia avvenuto anche il ritrovamento di una enorme spina dorsale usata in seguito come sedia e andata perduta durante la guerra: sempre nel Sava sarebbe stata rinvenuta una gigantesca gabbia toracica appartenente ad animali che, per le loro proporzioni, non sono presenti oggi.Queste le storie, ma la domanda che molti si fanno è chi può aver costruito le piramidi 12.000 anni fa.Qualcuno indica i costruttori negli Illiri, che abitavano la penisola balcanica prima delle tribù slave, ma le loro origini restano sconosciute. Sappiamo che era un popolo tribale governato da condottieri, una razza indo europea. Si ritiene che fossero discendenti dai primi immigranti Ariani, sicuramente furono i primi abitanti conosciuti della Bosnia e la più antica razza nel sud est dell’Europa. Ricerche in antichi testi suggeriscono una migrazione dalla Turchia; per alcuni studiosi albanesi il nome Illiri deriverebbe da Iliret, il cui significato è "Libero"; quindi da qui la definizione di "terra della libertà".Sembra che gli Illiri fossero un popolo bellicoso, dedito a sacrifici umani durante le loro cerimonie; le loro tombe erano Tumuli o Montagnole, dove usavano mettere artefatti come armi, ornamenti e vascelli. Intorno ai luoghi di sepoltura sono state trovate spade, giavellotti, asce, archi e frecce, coltelli.Le prime manifestazioni di questa civiltà risalgono all'inizio del secondo millennio a.C., quando erano frequenti le guerre tra tribù. Per questo gli Illiri furono presto costretti ad unirsi in alleanze, tanto che il loro territorio si trasformò in uno Stato potente.Gli Illiri hanno formato il nocciolo delle popolazioni pre elleniche che hanno abitato la parte più meridionale della penisola balcanica e della Tracia, ossia parte della moderna Bulgaria, Grecia, Turchia e ad est dell’attuale Macedonia.Gli antichi scrittori greci descrivevano gli Illiri come "barbari" e "non ellenici" evidenziando con ciò la percezione e la reale differenza fra le culture. Storici illustri, come Demostene e Strabone, ricordano il valore di queste "tigri della guerra". In particolare Strabone, che descrisse tutte le tribù illiriche.Lo scontro con Roma, che mirava ad estendere il proprio controllo sull'Adriatico, fu inevitabile: le guerre illirico-romane, iniziate nel 229 a.C., si conclusero con la vittoria di Roma. Il popolo illirico fu ridotto in schiavitù e il suo territorio fu frazionato in piccole unità amministrative; ma in virtù della loro bellicosità furono incorporati naturalmente nelle legioni romane per scopi militari; inoltre il territorio degli Illiri, con le sue valli e montagne, rappresentava uno punto di notevole importanza strategica nella difesa dell’impero.I romani aprirono miniere sfruttarono la ricchezza della regione. Col tempo molti Illiri si romanizzarono mentre la colonizzazione lungo la costa adriatica e la bassa Neretva portò molti romani ad insediarsi e, con essi, la civiltà e l’influenza romana.Nel 395 d.C. la divisione tra l’Impero Romano di Oriente, conosciuto come l’Impero Bizantino, e l’Impero Romano Occidentale divenne definitiva. La linea di separazione tra est ed ovest fu il fiume Drina, trasformando la Bosnia in un cuscinetto tra gli imperi.Il territorio a sud dell’Illiria fu incorporato dai bizantini e dai greci; la parte a nord rimase sotto il dominio romano.Al tempo della caduta dell’Impero Romano intorno al 480 d.C., con l’invasione dell’Illiria, Macedonia e Grecia da parte dei Visigoti, degli Unni e degli Ostrogoti, migrarono in Bosnia anche Sloveni, Croati e Serbi raggiungendo il territorio albanese dove stabilirono numerosi principati autonomi e cancellando dalla storia gran parte della popolazione autoctona, assimilandola.Solo gli Illiri del sud resistettero alle varie dominazioni e riapparvero alcuni secoli più tardi col nome di Albani; per questo motivo la lingua Albanese preserva anche oggi una parte di quella illirica e alcune tradizioni di quel popolo.Oggi, dunque, la zona intorno alla collina Visogica è divenuta il più importante sito archeologico europeo.Non è vero però, come si sta reclamizzando, che in Europa non vi siano altre Piramidi e si definisca la "Piramide del Sole Bosniaca" come la prima.Come ho avuto modo di scrivere, si conoscono da tempo altre costruzioni piramidali, sia in Germania, sia a Teneriffe, sia in Italia.L'esploratore Thor Heyerdhal, famoso per le sue traversate oceaniche con il Kon-Tiki, tese a dimostrare che gli Egizi, o i Fenici, sbarcarono in America prima di Colombo, ha scoperto, nell'isola di Tenerife (Canarie), ben sette piramidi a gradoni alte quindici metri, aventi lo stesso stile Mesopotamico, provviste di una via processionale che le avvicina alle costruzioni esistenti nello Yucatan. Il villaggio di Guimar luogo del ritrovamento, era anticamente abitato dai Guanches, una razza berbera dalla barba bionda e con gli occhi azzurri.Piramidi simili sono state ritrovate anche in Sardegna.Circa sette chilometri prima di Porto Torres si trova Monte d'Accodi dove si può osservare una struttura piramidale di 9 metri d’altezza e quasi 40x30 metri di base; al centro una rampa di 40 metri raggiunge la sommità della costruzione dove probabilmente un tempo esisteva un’altra camera. La costruzione risalirebbe circa al 2800 a.C. L’edificio è assolutamente insolito per la zona del Mediterraneo e ricorda nella forma gli ziggurat della Mesopotamia.Ai due lati della rampa un menhir di oltre quattro metri e una lastra calcarea quadrangolare di circa tre metri di lato posta su pietre a formare una tavola o un altare per i sacrifici.In Sicilia a quattro chilometri da Pietraperzia la piramide di Cerumbelle; una costruzione dalla struttura imponente, con quattro rampe di scalini e altari sacrificali nella parte alta; costituita da pietre di grande dimensione, ben lavorate e saldamente incastonate; in complesso un pregevole e preciso lavoro costruttivo.Una piramide tedesca è conosciuta come "Cumulo di Barnenez" ed è costituita da pietre intagliate; fino ad ora era considerata la più grande costruzione megalitica europea.A Silbury Hill esiste una collina considerata da sempre una piramide e che possiede anche la stessa inclinazione della Grande Piramide egizia.Inoltre, intorno a Sebastopoli, sono state scoperte fortuitamente ben 37 piramidi completamente interrate.Uno strano gioco del destino rivela il segreto nel corso di ricerche idriche dirette dal capitano di vascello a riposo Vitalij Anatoljevic Gokh, esperto di scienze tecniche e rilevazioni sotterranee, inventore di un dispositivo utile nell’individuazione di sorgenti d’acqua, ex insegnante alla scuola d’ingegneria, dove aveva il compito di preparare gli ufficiali dei sommergibili nucleari.I ricercatori si sono imbattuti in una estesa superficie levigata di pietra calcarea. Penetrati all’interno hanno trovato strutture a cupola e strane lastre triangolari. Nelle giunture fra i blocchi di pietra vi sono tracce di malta. Nei dintorni, un tratto di cinquanta chilometri fra Foros e Khersones, sono state rinvenute altre sei piramidi interrate allineate lungo la costa del Mar Nero; con la prima formano un rombo quasi regolare e risultano tutte allineate come quelle egiziane e colombiane.Territori un tempo sotto il dominio degli Illiri, o di una antica civiltà che 12.000 anni fa si era insediata in tutto quel territorio e probabilmente aveva costruito piramidi un po’ dovunque.Gli scavi si protrarranno fino ad Ottobre e per quella data, Semir Osmanagic, ci rivelerà qualcosa che ci obbligherà a modificare la nostra storia.P.S.: Nel nord est della Bosnia Erzegovina vicino a Banja Luka sono state rinvenute sfere di pietra levigate usate a volte nelle fondamenta delle case; nel villaggio di Trn hanno un diametro di circa quaranta centimetri. Una sfera tagliata nel mezzo ha un diametro di un metro. Nel villaggio di Teocak ne sono state rinvenute ben otto geometricamente sferiche ma non perfettamente levigate come quelle di Trn. Sono di granito e provviste di alcuni fori sulla superficie. La più grande pietra sferica è stata trovata a Slatiwa, ma non completamente finita. Ricordano quelle trovate in Costa Rica.Il mistero s’infittisce.

da edicolaweb.net

OLIMPIADI: MACCHINA DI ANTIKITERA ERA UN 'COMPUTER'


(AGI) - Londra, 31 lug. - La macchina di Antikitera altro non sarebbe che un complicatissimo congegno messo a punto per definire la data di inizio, nell'antica Grecia, delle Olimpiadi. A svelare l'arcano, uno dei piu' affascinanti misteri dell'archeologia contemporanea un gruppo di ricercatori guidati da Tony Freeth, dell'Antikythera Mechanism Research Project che hanno descritto i risultati delle loro ricerche sulla rivista Nature. I ricercatori spiegano che la macchina altro non e' che un complicatissimo congegno studiato per capire quando sarebbero avvenute le Olimpiadi, evento centrale della cultura greca antica. Questa manifestazione avveniva infatti, come oggi, ogni 4 anni. Le gare iniziavano la prima luna piena antecedente il solstizio d'estate. Cosi' per esser certi di non sbagliar la data gli antichi greci hanno realizzato questo meccanismo che doveva tener conto in maniera simultanea del movimento del Sole, della Luna e della Terra. Fatto questo che ha determinato la complessita' di questa straordinaria macchina. Per riuscire a decifrare il mistero e' stato indispensabile l'ausilio di una macchiana a raggi X combinata con una per immagini che ha permesso di rendere l'interno della Macchina in tre dimensioni. Questo ha permesso agli scienziati di leggere le iscrizioni che si trovavano sugli ingranaggi interni della macchina e, quindi di decifrarne il significato. (AGI)

SCOPERTO IN GRECIA L'IPPODROMO DI NERONE "OLIMPICO"


Grazie a sofisticate apparecchiature radar, due archeologi tedeschi sono riusciti a individuare l'Ippodromo di Olimpia, sede dall'VIII secolo avanti Cristo dei Giochi dell'Antichita': era la struttura piu' imponente tra quelle dove si disputavano le gare, e tra gli altri laureo' campione olimpico il famigerato imperatore Nerone. Se ne erano perse le tracce da oltre 1.600 anni, cioe' da quando nel 393 dopo Cristo l'imperatore romano Teodosio I, fervente cristiano, proibi' l'Olimpiade considerandola alla stregua di una mera festa pagana. La scoperta e' stata annunciata dal capo spedizione, Norbert Mueller dell'Universita' di Magonza 'Johann von Gutenberg', che dallo scorso maggio insieme al collega Reinhard Senff, dell'Istituto Archeologico Germanico di Atene, stava sondando la piana di Olimpia servendosi per la prima volta del sistema delle prospezioni geo-magnetiche. Una volta raccolti i dati, sono stati confrontati con le testimonianze e le descrizioni risalenti all'antichita'; corrispondevano: in particolare con quanto narrato dallo scrittore ed esploratore greco Pausania il Periegete, il quale nel II secolo dopo Cristo indico' l'ubicazione della pista ippica, situata verso est rispetto al Santuario Olimpico, e ne illustro' le caratteristiche: dalla forma rettangolare dell'impianto alla pista lunga un chilometro in tutto, dagli insoliti meccanismi utilizzati per dare il via alla brusca curva cieca che gli stessi concorrenti dell'epoca consideravano pericolosissima, e che tante vittime miete' tra aurighi e cavalli. Non si fece pero' male, anzi, il piu' famoso tra gli 'atleti' che vi si cimentarono, conquistando la corona d'alloro del vincitore. Appunto Nerone il quale nel 67 dopo Cristo, due anni dopo aver fatto incendiare Roma, partecipo' alla corsa dei cocchi a quattro tiri, e vi s'impose. Peccato che, fedele alla sua fama, Nerone non avesse esitato a barare: corruppe infatti gli organizzatori dei Giochi per otternerne un rinvio di due anni, in modo che coincidessero con la sua solenne visita nelle colonie della Grecia; ottenne inoltre di potersi servire non di quattro ma di ben dieci destrieri, ed ebbe assegnata la vittoria malgrado non fosse riuscito a reggersi in equilibrio e fosse stato sbalzato fuori dal proprio cocchio. La localizzazione del leggendario Ippodromo olimpico era uno dei grandi misteri da cui ancora era circondata la citta' che per prima ospito' i Giochi: dal 1875 avevano provato in tanti a trovarlo, fallendo tuttavia perche' il tracciato era occultato in profondita' nel terreno, sepolto sotto a diversi metri di limo nella pianura alluvionale solcata tuttora dalle acque del mitico fiume Alfeo, il maggiore del Peloponneso. Ci sono riusciti adesso i due ricercatori venuti dalla Germania: non potevano fornire migliore viatico agli imminenti Giochi Estivi di Pechino 2008, la XXIX Olimpiade dell'Era Moderna. Un viatico del quale si sente il bisogno. - Atene, 22 luglio

Scoperta archeologica nel Castello Superiore di Attimis. Spunta il sigillo dell'imperatore.

Il ritrovamento durante la campagna di scavi. Il reperto in oro bianco appartiene all’imperatore bizantino Alessio I Comneno. Buora: «È l’unico rinvenuto in tutta Europa»Eccezionale scoperta ad Attimis in occasione dell'undicesima campagna di scavo eseguita dalla Società friulana di archeologia di Udine nell'antico sito del Castello Superiore. Nel cuore più verde delle colline della Val Malina, che già hanno restituito stupefacenti reperti di enorme rilevanza storica (basta citare l'accampamento goto sulla vicina altura di San Giorgio, unico in regione e in tutto il nord Italia, al centro di una recente mostra) è venuto alla luce un sigillo in oro bianco realizzato alla corte dell'imperatore bizantino di Costantinopoli, Alessio I Comneno. «Una scoperta eccezionale - ha commentato sul posto il direttore dei Civici musei di Udine, Maurizio Buora - Si tratta infatti dell'unico sigillo di questo tipo rinvenuto in scavo in tutta l'Europa. Purtroppo il documento collegato al sigillo è andato perduto». Del destinatario di quello che pare essere stato a tutti gli effetti un titolo nobiliare si conosce però il nome. Si tratterebbe di Corrado I d'Attimis, cavaliere che abitò nel Castello Superiore di Attimis appunto, insieme a un gruppo militare posto a presidio della zona. Il suo nome era già noto nella zona di Cividale e in quella di Aquileia come persona potente e dagli incarichi di rilievo.Corrado fece parte di una delle prime spedizioni per la liberazione della Terra Santa, in una sorta di pre-crociata. È allora che si distinse per meriti agli occhi dell'imperatore Alessio I (vissuto tra il 1081 e il 1118); fu proprio il regnante che lo onorò con la consegna del prezioso documento, pergamena cui appose il sigillo trovato ad Attimis. Il reperto, in ottimo stato di conservazione (privo unicamente di una piccola cordina), raffigura da un lato un Dio Padre con nimbo e con i simboli del suo potere (il bastone, al pari dei patriarchi di Aquileia, e il globo con la croce svettante), dall'altro lo stesso imperatore dell'Impero Romano d'Oriente raffigurato invece con accanto la scritta identificatoria in greco: "Alexio Despote", dove despote non va letto nell'accezione di tiranno, ma in quella di regnante, condottiero o cesare. Il sigillo è stato rinvenuto in un locale integro annesso al Palazzo centrale (che ha subito una ricostruzione negli anni '70): si tratta della fucina di un fabbro che ha restituito proprio ieri mattina un altro piccolo tesoro messo in luce da Luigi, uno degli studenti impegnati nella ricerca. Il giovane ha rinvenuto infatti una moneta di bronzo. Sono stati scoperti, infine, piccoli pesi, resti di ciotole per pasto, resti di ossa animale, un sonaglio in bronzo, dadi da gioco ed elementi di una collana per ornamento.
Paola Treppo
26 LUGLIO 2008, IL GAZZETTINO

Stele precristiana con iscrizioni su resurrezione



Un stele di pietra chiara, alta un metro, proveniente dal mar Morto con iscrizioni in ebraico e, soprattutto, datata dagli studiosi qualche decennio prima della nascita' di Gesu' sta alimentando nuove polemiche tra gli archeologici e i biblisti: il testo sembra parlare di "un Messia che resuscitera' tre giorni dopo la sua morte". E' quanto scrive il sito web del New York Times secondo cui se le analisi confermeranno l'autenticita' del manufatto e il contenuto delle 87 righe di testo avremmo la prova che la figura di un messia assimilabile a Cristo faceva gia' parte dell'antica cultura ebraica. La maggior parte del testo, e' una visione dell'apocalisse trasmessa dall'arcangelo Gabriele, basata sul vecchio testamento, specialmente sui racconti dei profeti Daniele, Zaccaria e Haggai, scrive il Nyt.

(AGI) - New York, 6 luglio





Addendum di Aristide Malnati. Di fronte a un reperto d’indubbia complessità esegetica e già foriero di polemiche tra studiosi, appare non inutile proporre semplici considerazione paleografiche ed epigrafiche, visto che per prima cosa siamo in presenza di una stele scritta in una determinata scrittura. Da paleografo greco – ma i principi dell’analisi grafica possono essere applicati a testi in qualsiasi altro alfabeto – mi sento di affermare l’impossibilità di stabilire una datazione sicura al decennio unicamente sulla base di elementi di scrittura. Per i papiri redatti in corsivo, e ancor più per epigrafi scolpite in lettere maiuscole, si è soliti proporre una datazione dell’ampiezza di un secolo; se poi nel testo, come nel caso della stele in questione, vi è la presenza di un personaggio storico, in grado di fornire un elemento di datazione extra- grafico, bisogna pensare che detto testo sia potuto essere vergato in un momento fino a 50- 60 anni successivo al periodo, in cui il personaggio di riferimento è vissuto. Su queste basi nulla vieta che la nostra epigrafe, che si riferirebbe a tal Simone a capo di una rivolta antiromana appena posteriore alla morte di Erode il Grande ( 4 a. C.), sia stata redatta negli anni 50 del I sec. dell’era cristiana; dunque ben dopo che il concetto di Messia fosse stato elaborato con riferimento proprio a Gesù.Anzi in quest’ottica potrebbe rappresentare il tentativo da parte di qualcuno della comunità giudaica di riappropriarsi di una simile idea- cardine e di ricondurla nell’alveo della religione- madre in aperta polemica con il cristianesimo oramai affermato; e così questo sarebbe addirittura un nuovo reperto capace di confermare la formazione della neonata religione e la sua capacità di incidere fin da subito. Impossibile una datazione al decennio solo sulla base della scrittura. E se l’epigrafe risalisse al 50 d.C., sarebbe un segno dell’ascesa cristiana.
(Fonte: Avvenire, 08/07/2008)

mercoledì 30 luglio 2008

Scoperta a Napoli una fortificazione bizantina costruita dal generale Narsete


I resti di una fortificazione bizantina sono emersi dalle indagini archeologiche preliminari per una stazione della Metropolitana. La fortificazione, realizzata con elementi architettonici di un monumento di eta' imperiale (II secolo d.C.), tra i quali due rare lastre figurate rappresentanti scene di sacrifici, puo' essere identificata con quella costruita dal generale Narsete, dopo la fine della guerra greco-gotica, poco lontano dal porto.


Affreschi svaniti, furti e discariche, Così si sgretola l'antica Pompei.

Se riuscite a dribblare la ressa dei parcheggiatori abusivi, uno ogni due metri. Se sapete svicolare anche l'assalto delle guide all'entrata. Se avete la fortuna di conquistare un posto negli unici tre bagni in dotazione per ciascun sesso. Se siete dotati del giusto intuito per capire la direzione per l'ingresso che i cartelli sbiaditi non indicano più. Se tutto questo non vi ha ancora scoraggiato, allora: benvenuti negli scavi di Pompei, 440 mila metri quadrati di antiche vestigia che il globo intero ci invidia. Patrimonio dell'Umanità e dell'Unesco. Una delle Sette meraviglie del mondo. Già, che meraviglia.Antonio Irlando aveva i calzoni corti quando ha cominciato a saltellare tra le rovine di Pompei. Della città che il Vesuvio sotterrò sotto le ceneri nel 79 d.C. non ha mai smesso di occuparsene: come architetto. Come assessore. Come presidente dell'osservatorio regionale sul patrimonio artistico. Sempre impotente.«Quando ero amministratore ho impiegato nove mesi soltanto per fare una cosa semplice come pedonalizzare la piazza di porta Marina Inferiore: era un groviglio di auto, pullman, bancarelle. Credevo mi sarebbe bastata una settimana».Gli affreschi Adesso Irlando conta le pietre che si sgretolano dalle case antiche e l'intonaco che si stacca dalle pareti: «Centocinquanta metri quadrati di affreschi e intonaco che, come minimo, si perdono ogni anno per mancanza di manutenzione ordinaria. Così per le pietre: almeno tremila quelle che ogni anno finiscono in briciole ».Benvenuti a Pompei, la città che scompare, si sbriciola, sbiadisce tra l'incuria e l'indifferenza. No, i furti quelli che fanno i titoloni sui giornali non ci sono più: per carità. La lapide della Casa di Obellio Firmo, i medaglioni dei dipinti della Casa Pasquino Procuro, i dipinti della Casa dei casti amanti, gli sfregi lì al Lupanare: roba passata. «Adesso, a parte un po' di pezzi che i turisti si portano via con lo zaino, non succede più nulla», spiega serafico Renato Petra, sindacalista della Ugl. «Ogni giorno vengono sottratte pietre e pietruzze, per il resto non sappiamo quello che succede dentro gli scavi: ufficialmente non ci viene più denunciato nulla», garantisce Vittorio Manzoni, maresciallo di Pompei. Sarebbe già moltissimo avere un'idea di quello che succede almeno dentro i Granai degli scavi.Era il 1978 quando l'Antiquarium, il museo, venne chiuso per restauri: i reperti vennero ammassati nei Granai. E lì stanno ancora, protetti da lucchetti che basta un ladro bambino per forzare. Statue, anfore, pitture antiche: i turisti si impiccano tentando foto attraverso le sbarre.
(Controluce)I reperti ammassati I lavori di restauro dell'Antiquarium non sono mica finiti: non sono bastati trent'anni per risistemare un museo. Ma nemmeno ventuno per completare alcuni scavi: era il 1987 quando Antonio Varano diede il via ai lavori per i Casti Amanti. La casa è ancora un cantiere. E ritrovamenti come il putto dai riccioli d'oro o affreschi sono serviti soltanto a scatenare l'appetito dei ladri. Che adesso, per carità, mica si vedono più a Pompei.«Perché i tombaroli hanno cambiato obiettivo», grida l'allarme Antonio Pepe, sindacalista della Cisl. E spiega: «Ora si prediligono gli oggetti non catalogati. E c'è l'imbarazzo della scelta: un terzo di Pompei non è mai stata scavata. Stiamo parlando di 22 ettari, in balia di chiunque: un patrimonio mai censito. Non si ha idea di cosa c'è là sotto, se qualcosa è rimasto».Si sa, però, cosa c'è sopra quei ventidue ettari: «Discariche abusive: pneumatici, elettrodomestici, materassi», garantisce ancora il maresciallo Manzoni. Una depressione che si amplifica a guardare lo stato delle meraviglie già portate alla luce. Ma non provate a sentirvi male: dentro gli scavi il pronto soccorso è come un set. Dentro ci sono due dipendenti, ma non sono né medici né infermieri. E sono forse gli unici dipendenti che potrà capitarvi di vedere nel giro in mezzo alle case di Pompei.Ville chiuse Ci sono 1.500 case tra le mura: se se ne trovano aperte due su dieci si è vinta una lotteria. E inutilmente i turisti inseguono i fasti della Casa dei Vettii, lì dove il gigantesco membro di Priapo un tempo, per pudore, era coperto da una teca: il gioco era mettere qualche moneta nella mano del custode per svelarlo. Oggi gli 11 euro pagati per il biglietto (da oltre 2 milioni e mezzo di visitatori l'anno) non ti permettono di vedere né questa, né la Casa degli Amorini (che pure è restaurata dal 2004) né quasi nessuna delle pur centralissime vie di Nola e di Abbondanza. Tutte case desolatamente chiuse.E quelle aperte? La Casa della Caccia Antica? Si chiama così per via di un meraviglioso affresco di caccia, appunto: bisogna crederci per fede. L'affresco è sbiadito, diventato invisibile. La Casa del Fauno? Sarebbe fantastica se non fosse per impalcature e puntelli, sovrastata da orribili strutture in acciaio. Già, l'acciaio: va di moda da queste parti. Basta vedere l'ancora più orribile struttura in costruzione dalla parte di porta Stabia.«Servirebbe per gli uffici della Sovrintendenza che, però, è stata accorpata con quella di Napoli e dunque non servono più», dice il sindacalista Pepe spiegando che per questa struttura sono stati investiti cinque milioni di euro. «Gli unici soldi investiti, sembrerebbe: nel bilancio degli scavi, infatti, ci sono 70 milioni di euro mai spesi. Aggiungiamoci i 30 milioni che nel 2006 l'allora ministro Buttiglione si prese indietro perché a Pompei non si era deciso come spenderli».

L'archeologia conferma: le saghe dicono il vero



La prova inconfutabile che le saghe raccontano la verità si è avuta solo nel 1960. In quell'anno due archeologi norvegesi, Helge e Anne Ingstad, trovarono tracce di un villaggio vichingo del X-XI secolo in una località di Terranova (Canada) chiamata Anse aux Meadows (Baia delle Meduse). Il villaggio era composto da otto grandi capanne, una segheria, un'officina e un piccolo cantiere navale: fu abitato per pochi anni e fu abbandonato volontariamente con un esodo ordinato, come prova la scarsità di utensili rimasti sul posto. Si ipotizza che l'insediamento possa essere quello in cui abitò Thorfinn Karlsefni intorno al 1010. In ogni caso è l'esempio più antico che si conosca di case europee in terra americana. Dal 1978 il sito dell'Anse aux Meadows è tutelato dall'Unesco come "patrimonio dell'umanità".

Archeologia, recuperate opere per oltre 3 milioni di euro


Ci sono antichissime monete in argento e bronzo, una grossa maschera votiva risalente all'antico popolo laziale dei Rutuli, oltre a statuette in terracotta e un nuovo e inedito frammento della famosa Kylix del V secolo a. C., opera dei celebri artisti Eufronio e Onesimos. Sono solo alcune delle splendide opere d'arte recuperate alla legalità nel corso delle tre operazioni Rutuli, Eufonio 2 e Fortuna, illustrate, a Roma, nelle sede del reparto operativo Carabinieri tutela patrimonio culturale, dal comandante del gruppo, tenente colonnello Raffaele Mancino, alla presenza, tra gli altri, del soprintendente per i Beni archeologici dell'Etruria meridionale Anna Maria Moretti.«Le operazioni - spiega l'ufficiale dell'Arma - hanno condotto al recupero di circa 2mila pezzi tra integri e ricomposti, oltre 1800 frammenti e 500 monete d'altissimo pregio storico-numismatico, per un valore complessivo superiore ai 3 milioni di euro». Undici, in totale, le persone denunciate all'autorità giudiziaria per scavo clandestino, impossessamento illecito e ricettazione di materiale archeologico. Tra questi, spiccano loschi personaggi dediti alle ricerche clandestine, oltre che collezionisti senza scrupoli, che disponendo di elevate somme di denaro hanno potuto acquistare i reperti più belli e importanti, per poterli ammirare nelle proprie abitazioni. «Si tratta - spiega la soprintendente per i Beni archeologici dell'Etruria meridionale Anna Maria Moretti - di antichissime statuette in terracotta, maschere votive, braccia, piedi e altro, dedicati a divinità salutari, ma anche oggetti in bronzo, ceramica campana, punte di lancia, anforette, balsamari, il tutto riconducibile a un'epoca compresa tra l'VIII secolo a. C. e il I secolo d. C.». Un cospicuo patrimonio, insomma, che, assicurato alla giustizia, permetterà, ora, sottolinea il soprintendente Moretti, di «approfondire le informazioni sulle capacità artigiane e sul modo di vita degli antichi Rutili, indicati da Plinio come uno dei popoli più antichi del Lazio». Tra i ladri d'arte, da segnalare, poi, anche dei volontari, membri di un gruppo archeologico operante nell'area di Cerveteri. A loro il "merito", con una vera e propria messa in scena, di aver fatto recuperare l'importante frammento della nota e celebre Kylix dei maestri Eufronio e Onesimos. «Il reperto - spiega il tenente colonnello Mancino - individuato durante lavori di pulizia del sito archeologico, veniva consegnato dai volontari alla Sovrintendenza, forse al fine di ottenere un eventuale premio di ritrovamento, inscenando la scoperta come avvenuta in un altro contesto, non molto distante dal luogo dell'effettivo ritrovamento». Ebbene, smascherata la messa in scena, la magistratura ha, poi, disposto la perquisizione delle abitazione dei malcapitati, dove sono stati rinvenuti migliaia di reperti di notevole interesse storico-archeologico, provenienti da diverse regioni meridionali, per un valore approssimativo di oltre 1 milione di euro.


La scoperta dei Fori Imperiali


Un secolo fa quella che oggi appare come una delle mete turistiche più caratterizzanti di Roma, la successione imponente dei Fori Imperiali, era quasi inesistente. All'inizio dell'800 – durante l'occupazione francese – era stata messa in luce una parte della Basilica Ulpia unendola allo stretto scavo preesistente intorno alla Colonna Traiana. Qualcosa poteva vedersi anche del Foro di Augusto dopo gli scavi condotti nel 1842 dall'architetto francese Toussaint Uchard. Le "Colonnacce" – parte del Foro di Nerva – emergevano a metà altezza dalla strada incastonate in un edificio posteriore. Era certamente un quadro frammentato e il resto rimaneva coperto dalla fitta tessitura del quartiere Alessandrino. Furono le grandi demolizioni del regime tra il 1924 e il 1940 che portarono alla luce la maggior parte di quanto oggi è visibile creando Via dell'Impero. Di qui il titolo della mostra che aprirà il 23 luglio ai Musei Capitolini: L'invenzione dei Fori Imperiali. Demolizioni e scavi: 1924-1940. "Invenzione", dunque, nel suo doppio senso: quello etimologico di rinvenimento, ma anche quello più moderno di costituzione di una nuova realtà, che prima non esisteva e che solo dalle demolizioni selettive prende un volto quasi con un atto creativo.Sappiamo bene, infatti, che questa fu operazione ideologica per portare in primo piano l'idea di romanità a scapito innanzitutto delle fasi di vita della città meno adatte a essere valorizzate nel clima del ventennio, ma spesso anche a scapito della stessa archeologia. I tempi degli sterri, infatti, non furono dettati dalla ricerca, ma dall'agenda politica, notoriamente assai più frettolosa, tant'è vero che i risultati di questi scavi sono maturati in pieno solo recentemente nell'ambito delle ricerche degli ultimi due decenni e ancora oggi si lavora a una piena edizione e comprensione di questi monumenti straordinari. Questa riflessione può sfruttare oggi la distanza storica sia per inquadrare il fenomeno nel suo contesto – non esiste una ricerca pura al di fuori del tempo e dello spazio – sia per recuperare per quanto possibile i dati persi a causa delle priorità e dei ritmi imposti da scelte di regime. Per nostra fortuna di quegli scavi rimane una documentazione fotografica di altissima qualità, anche se non sempre sistematica, che ci conserva un riflesso della frenetica attività con cui venne riplasmato il centro di Roma antica. Lastre di vetro di grandi dimensioni realizzate dai migliori professionisti dell'epoca – D'Amico, Reale, Faraglia, Calderisi – vennero scattate e ordinate nel nuovo Museo di Roma dove costituiscono un fondo di settemila immagini i cui positivi (stampe a contatto di qualità inimmaginabile per il moderno fotografo digitale!) sono ordinati in più di ottanta album. Una scelta molto selettiva, appena 64 immagini, viene ora proposta in mostra, ma molto opportunamente corpus è apparso da pochi mesi in un volume di più di 500 pagine edito da Electa (Fori Imperiali Demolizioni e scavi. Fotografie 1924-1940). Sono foto scattate per esigenze di documentazione tecnica e scientifica, ma pur sempre da professionisti dell'obbiettivo preoccupati anche della composizione dell'immagine. Al di sotto di una sottile patina trionfalistica lasciano trasparire un senso di spaesamento per l'identità di una città che cambia girando pagina in modo brusco e irreparabile, suggerendo un bilancio che doveva essere difficile anche per i contemporanei, o per lo meno per quelli meno inebriati dalla propaganda. Le riprese paiono quasi a una premonizione di quello che sarà il neorealismo: oltre ai monumenti e alle demolizioni, fissano anche – quasi per sbaglio – scene di vita, prospettive di case che tra poco saranno abbattute mentre i loro vecchi abitanti sono in attesa di essere trasferiti. È difficile trovare una coerenza tra questi scatti e le parole d'ordine correnti in quegli anni: le foto sembrano quasi scattate in un momento di distrazione. Eppure non è un caso isolato: in quegli stessi anni avvenne anche che fossero commissionate dal Governatorato mostre di pittura sulla Roma che spariva. Anche di queste opere contemporanee è esposta in mostra una scelta tratta dalle collezioni del Museo di Roma: troviamo nomi noti e meno noti, come Michele Cascella, Maria Barosso, Lucia Hoffmann, Giulio Farnese e Pio Bottoni, tutti legati alla Scuola Romana. Nei più sensibili, come nella veduta di Mario Mafai del Foro di Traiano, si legge la stessa nostalgia per quel che andava perduto che traspare dalle foto: un tratto in verità assai poco futurista. Lo stesso Museo di Roma, in fondo, deve la sua nascita e le sue preziose collezioni ai drastici mutamenti che esigevano che la memoria di ciò che spariva fosse in qualche modo preservata. In quegli anni, nonostante il clima poco favorevole al libero pensiero, esistevano ritagli – certo marginali e secondari – in cui era possibile una qualche autonomia di giudizio. Per rimanere in tema si può ricordare per esempio che tutti gli archeologi del tempo frequentavano la Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte di Palazzo Venezia e tra essi se ne contavano alcuni notoriamente non troppo allineati. Eppure l'accesso – che come oggi si apriva sotto lo storico balcone da cui si affacciava il Duce – non era sottoposto a controlli particolari. Una situazione impensabile oggi, dopo gli anni di piombo e il terrorismo fondamentalista. È in queste "sviste" e piccole contraddizioni del regime che poterono sopravvivere germi di novità per la stagione democratica successiva.


"L'invenzione dei Fori Imperiali. Demolizioni e scavi: 1924-1940», Roma, Musei Capitolini dal 23 luglio al 23 novembre. Catalogo Palombi.



lunedì 21 luglio 2008

A Gela si assisterà al recupero di una nave greca di epoca arcaica

Il 28 luglio riemergerà dal mare – che lo ha custodito per 2500 anni - il relitto di un'imbarcazione greco-arcaica, unica per dimensione, tipologia e stato di conservazionePer l'occasione, la Soprintendenza di Caltanissetta presenterà il progetto "Dal mare al laboratorio... al Museo"Dal fondale argilloso del mare di Gela, lunedì 28 luglio, grazie ai finanziamenti del Por 2000/2006, riemergeranno la chiglia e la ruota di poppa del più importante relitto greco del Mediterraneo, datato intorno al 500 a.C.: un'imbarcazione di 21 metri di lunghezza e 6,50 metri di larghezza, del tipo "cucito" come la nave di Cheope e quelle di cui Omero fa cenno nel secondo libro dell'Iliade, unica nel suo genere per tipologia e stato di conservazione. La colonia rodio-cretese grazie ai ritrovamenti subacquei si ripropone all'attenzione degli scenari internazionali grazie all'iniziativa fortemente voluta dal dirigente generale del dipartimento BB.CC.AA. ed Educazione permanente, dott. Romeo Palma, dal Soprintendente di Caltanissetta, dott.ssa Rosalba Panvini, direttore scientifico dell'operazione, e dal suo staff, con il progetto "Dal mare al laboratorio... al Museo: quest'ultimo, grazie all'intervento dell'assessorato regionale ai Beni Culturali retto da Antonello Antinoro – presente in occasione dell'evento - permetterebbe a Gela di diventare "custode" dei suoi tesori, così com'è successo a Mazara del Vallo col Satiro danzante. Il relitto di oltre 11 metri verrà recuperato con una lunga "barella" di rete metallica e con i mezzi messi a disposizione dalla Capitaneria di Porto di Gela, completando così la precedente operazione effettuata nell'ottobre 2003, a cura della Soprintendenza di Caltanissetta, che riportò a galla la prua, permettendo di recuperare un vasto e vario carico - coppe, lucerne, crateri attici, ceramiche di fattura greca e persino canestri in fibra vegetale per il trasporto delle merci – contestualmente alla scoperta dei ritrovamenti di strutture portuali, costituite da muri in mattoni crudi ben conservati, alti quasi 3 metri e dotati di porte e finestre. Si tratta dell'emporio arcaico di Bosco Littorio, il luogo dove venivano smistate le merci provenienti dalla Grecia. L'insieme delle scoperte a terra e in mare dimostrano come Gela fosse un centro commerciale e di smistamento di primaria importanza tra il VI e il V sec. a.C.Grazie a questo rinvenimento, infatti, è stato possibile ricostruire la storia del Mediterraneo: dalle numerose anfore chiote, attiche, puniche, lesbie, corinzie di tipo A, massaliote e samie recuperate, si è risalito ai prodotti che venivano smerciati; dai suppellettili di cambusa per l'uso quotidiano dell'equipaggio e dalle carcasse di animali trasportati sono stati tracciati usi e costumi dei marinai; e ancora, dalle preziose statuette lignee, al vaglio degli archeologi della Soprintendenza, è stato possibile ricostruire le peculiarità delle cerimonie di culto in navigazione. La diversità del carico di merce trasportato suggerisce l'ipotesi che la nave dovesse aver toccato durante la rotta porti e approdi che fungevano da punti di smistamento dei prodotti. L'esame del materiale ritrovato consente di identificare nel bacino dell'Egeo il luogo di provenienza della nave, anche se essa toccò poi i porti dell'Attica, il Falero (data la presenza dimateriale a vernice nera e figurato recuperato), e quindi alcuni porti della costa siciliana, come attestano i campioni già analizzati di pietre pertinenti alla zavorra.I resti dello scafo, orientato a 30°, giacciono su un fondale di 4-5 mt a 800 metri dalla costa e a quasi 1 km ad Est dal molo Agip di Gela. I giornalisti e le Autorità si daranno appuntamento alle 10.00 del 28 luglio, presso il porto di Gela – banchina mezzi navali – per salpare con le motovedette della Capitaneria di Porto. Al rientro, la conferenza stampa presso il Club la Vela di Gela.



http://www.archaeogate.org/subacquea/

L’arte è nata in una grotta


A quando risalgono le origini dell’arte? Dove si collocano le prime espressioni artistiche? Incisione o pittura, o tutte e due le tecniche insieme? Prima le scene di animali e poi la figura umana, o viceversa? Quale il significato di queste opere? A questi interrogativi e a molti altri risponde Jean Clottes, uno dei massimi esperti di arte preistorica, autore di numerose pubblicazioni e del volume «Cave Art», in uscita questo mese in libreria per i tipi di Phaidon. Un libro che con il supporto di un nutrito e straordinario corredo iconografico, restituisce tutta la grandiosità e il movimento delle scene dipinte e incise, offrendo un panorama dell’arte rupestre europea lungo un arco cronologico di quasi 25mila anni (35.000-11.000 a.C.). Senza dimenticare gli esempi realizzati in tutto il mondo dopo la fine dell’era glaciale. Ottantacinque grotte in tutto, dalle più celebri a quelle meno conosciute, per lo più in Francia e in Spagna, visitabili o chiuse al pubblico temporaneamente per problemi di conservazione e addirittura duplicate come la famosa grotta di Altamira.Professor Clottes, quando ha scoperto la sua vocazione per la preistoria?A poco a poco. Da giovane ero un appassionato di speleologia. Un giorno, per caso, durante una ricognizione sui Pirenei mi sono imbattuto in frammenti ossei e ceramici. Da allora mi sono sempre domandato a quale epoca potessero risalire quei resti e a chi fossero appartenuti. Quando ho iniziato il mio primo lavoro come professore di inglese, mi sono iscritto a un corso di Preistoria all’Università di Tolosa per saperne un po’ di più. Col passare degli anni, il mio interesse è cresciuto ed è diventato, effettivamente, una reale vocazione e passione.La Francia vanta una lunga tradizione negli studi preistorici. L’abate Henri Breuil e André Leroi-Gourhan hanno influenzato le sue scelte?L’abate Breuil è morto nel 1961, un anno dopo l’inizio dei miei studi. Malgrado non lo abbia mai incontrato, ha esercitato una grande influenza su di me come su altri studiosi. Con lui ho condiviso la necessità di eseguire i rilievi all’interno delle grotte per meglio comprendere l’arte. Quanto al professor Leroi-Gourhan, non sono mai stato suo allievo, ma ho avuto modo di conoscerlo bene provando ammirazione per la sua chiarezza di spirito e per l’immensità delle sue conoscenze. Com’è nata l’idea del libro e quali le novità contenute? Mancava una visione generale dell’arte rupestre dai tempi dell’era glaciale e in funzione delle scoperte recenti e delle nuove conoscenze acquisite. Con l’aiuto delle immagini il libro si rivolge a un pubblico appassionato, ma non specialista. Nell’opera figurano per così dire «i grandi classici» (Lascaux, Niaux…) ma anche grotte importanti recentemente scoperte (Chauvet, Cosquer). Mi auguro di aver dato una visione d’insieme il più possibile completa dell’arte paleolitica sotto diversi punti di vista: tecniche, soggetti rappresentati, epoche e regioni. È l’insieme che è nuovo.



L’articolo integrale è disponibile nell’edizione stampata de: Il Giornale dell’Arte

venerdì 18 luglio 2008

L'agricoltura venuta dall'Arca

La diffusione dell'agricoltura in Europa sarebbe stata la conseguenza (positiva) dei cambiamenti climatici che 8000 anni fa portarono allo scioglimento dei ghiacciai che occupavano gran parte del subcontinente nord-americano, complessivamente noti come "coltre laurenziana". Lo sostengono ricercatori dell' Università di Exeter, in Gran Bretagna, e di Wollongong, in Australia, in un articolo apparso sul Quaternary Science Reviews.
Il collasso della coltre laurenziana avrebbe infatti rilasciato una quantità di acqua tale da provocare l'innalzamento del livello dei mari di 1,4 metri, determinando la più grande immissione di acque dolci nell'Atlantico settentrionale degli ultimi 100.000 anni.
Quel fenomeno avrebbe contribuito in maniera decisiva a far irrompere le acque salmastre del Mediterraneo nel Mar Nero, fino a qurl momento un bacino d'acqua dolce, e a provocare le paurose inondazioni che sono rimaste impresse nelle leggende di molti popoli, come è testimoniato appunto dal racconto biblico del diluvio universale o dalla saga di Gilgamesh.
I dati archeologici testimoniano peraltro che all'incirca in quel periodo si assistette a una improvvisa espansione delle coltivazioni agricole e della produzione di ceramiche in Europa, fatto che segnò il passaggio dall'era mesolitica dei cacciatori-raccoglitori al Neolitico.
I ricercatori hanno creato una ricostruzione della linea di costa del Mediterraneo e del Mar Nero prima e dopo l'innalzamento del livello del mare e hanno così potuto stimare che nell'arco di 34 anni andarono perduti circa 73.000 chilometri quadrati di terreni. Basandosi sulle stime della popolazione del tempo, ciò avrebbe provocato lo sfollamento di 145.000 persone. Prove archeologiche dimostrano che a quel tempo le comunità che vivevano nell'Europa sud-orientale praticavano l'agricoltura e producevano ceramiche già prima del "diluvio". La catastrofe ecologica le avrebbe spinte a spostarsi nelle regioni limitrofe, e in particolare verso occidente, nelle terre che erano abitate da cacciatori-raccoglitori, innescando una rivoluzione culturale che avrebbe interessato tutta l'Europa.
"Questa ricerca - osserva anche Chris Turney, che ha diretto lo studio - mostra come l'aumento del livello del mare possa innescare cambiamenti sociali imponenti. A 8000 anni di distanza siamo meglio attrezzati per affrontare un aumento del livello del mare, ma ricordiamo che le stime più recenti suggeriscono che per il 2050 ci saranno ogni anno milioni di persone che emigreranno a causa dell'aumento del livello del mare."

Strani segni dall'Età del Bronzo

MANTOVA - Quattromila anni fa, in piena Età del Bronzo, le popolazioni dell'Italia centro-settentrionale e quelle di una vasta area dell'Europa centro-orientale avevano un codice in comune. Era impresso su dei manufatti in terracotta o in pietra grandi più o meno come un telefono cellulare. Ne sono stati ritrovati circa 300 ma il loro significato e la loro funzione sono ancora sconosciuti, tanto da renderli noti tra gli studiosi come "tavolette enigmatiche". Per far luce su questo mistero dell'antichità è partito un progetto internazionale a guida italiana, che utilizzerà tecnologie modernissime ed anche internet. "Assegni" o "cambiali" utilizzati nei commerci preistorici, talismani, elementi inseriti in qualche sistema di registrazione, oggetti dal significato rituale. Sono molte le ipotesi sulla funzione di queste tavolette ricoperte di segni di vario genere, come righe, cerchi, punti o croci. Quel che è certo è che erano usate come supporto non deperibile per conservare informazioni e che erano conosciute in comunità lontane e assai diverse, dedite anche all'agricoltura ed unite da frequenti contatti e scambi. Germania, Austria, Repubblica Ceca, Polonia, Romania, ma soprattutto Italia settentrionale. Le tavolette enigmatiche, dette anche "Brotlaibidole" (in tedesco "idoli a forma di pagnotta"), sono state trovate in un'area molto ampia, ma in gran numero nella zona a sud del lago di Garda. Proprio da qui, dal Museo dell'Alto Mantovano di Cavriana (Mn), è nata l'idea di unire per la prima volta i migliori archeologi europei che le hanno studiate e di adottare un approccio interdisciplinare. "In passato ci sono state diverse pubblicazioni, ma sono mancate le occasioni di confronto", dice il direttore Adalberto Piccoli, 69 anni, che si occupa delle tavolette dal 1976. "Al progetto, che è entrato nella fase operativa da un paio di mesi, stanno collaborando anche l'istituto di Linguistica, Letteratura e Scienze della comunicazione dell'università di Verona ed il dipartimento di Optoelettronica dell'università di Brescia. Quest'ultimo farà scansioni tridimensionali dei reperti per verificare le tecniche di lavorazione ed eventuali reiterazioni dei segni".
Per svelare il significato delle misteriose "Brotlaibidole", sarà importante anche creare un catalogo che riporti tutti gli esemplari conosciuti e che sia facilmente accessibile. Per questo alla fine di giugno è stato inaugurato il sito internet www.tavoletteenigmatiche.it, sul quale saranno inseriti tutti i dati disponibili. Non solo: le pagine web saranno anche utilizzate per raccogliere segnalazioni. "Domenica scorsa è stata trovata una nuova tavoletta in Slovacchia - continua Adalberto Piccoli, che durante i suoi scavi ne ha recuperate sette - Il sito ci permetterà di aggiornare continuamente il catalogo. Inoltre ci sono sicuramente dei privati che ne possiedono: c'è la possibilità di compilare una scheda di segnalazione, anche in forma anonima". I primi punti di arrivo del progetto saranno una mostra ed un convegno internazionale, che si terranno a Cavriana nella primavera del 2010. Sarà forse ancora presto per riuscire a comprendere a pieno questa forma di pre-scrittura, ma è probabile che per allora si sia scoperto qualcosa in più sulla funzione delle tavolette enigmatiche. Oggetti diffusi per secoli, tra il 2100 e il 1400 a. C., e poi scomparsi nell'Età del Bronzo Recente, probabilmente non a caso: in quel periodo si intensificarono i contatti con il Mediterraneo orientale e l'incontro con il sistema di segni codificato e consolidato della civiltà micenea potrebbe aver condannato all'oblio il misterioso codice impresso sulle "Brotlaibidole".

Trovati resti di ominide di 700mila anni in Germania

Un archeologo dilettante ha scoperto in Germania settentrionale i resti fossili del cranio di un uomo primitivo vissuto 700.000 anni fa. I resti sono molto somiglianti a reperti asiatici, soprattutto dell'Indonesia, cosa che avvalora l'ipotesi dell'Europa abitata per la prima volta da popolazioni asiatiche, e non africane. Se sara' confermata la datazione dei frammenti, attribuiti a un esemplare di Pitecantropo eretto, si tratterebbe del piu' antico essere umano mai scoperto in Germania.

giovedì 17 luglio 2008

Eolie, apre il museo sottomarino: quando i reperti si trovano a 45 metri di profondità

(Filicudi) - Diventa finalmente fruibile, ma solo a sub con almeno il secondo brevetto, la più bella area archeologica sottomarina delle isole Eolie finora vietata a tutti: la secca di Capo Graziano a Filicudi, che custodisce almeno nove relitti di navi greche e romane, posati fino a 75 metri con i loro preziosi carichi integri. Un concentrato di storia, di emozioni e di bellezze naturalistiche in un luogo magico che, purtroppo, è stato teatro per millenni di numerosi drammatici affondamenti: le navi che cercavano rifugio dal maltempo sotto Capo Graziano venivano “tradite” da un’improvvisa secca rocciosa e sprofondavano all’istante nell’abisso fino a 75 metri.
Capo Graziano.
La Soprintendenza del mare della Sicilia con finanziamento dell’assessorato regionale al Turismo, ha realizzato un itinerario in sicurezza fino a 45 metri di profondità, per ammirare il “relitto A” che risale all’età ellenistica (II sec. a.C.). Sarà fruibile solo con la guida dei diving con licenza delle Eolie, che offriranno servizi standard seguendo le regole della Soprintendenza e, in sinergia, finanzieranno un servizio di guide a terra per completare il tour con la visita del villaggio preistorico di Capo Graziano, della sezione locale del Museo eoliano e dei sentieri sulle montagne ricche di terrazzamenti romani.
L’itinerario offre la possibilità di individuare anche la sagoma del “relitto G” ricoperto di sabbia e che risale al V secolo a. C., e quella del “Città di Milano“, una posacavi della Marina affondata nel 1919 per l’esplosione delle caldaie nell’impatto. Sul fondo sono anche visibili le ali di aliscafi che hanno impattato sulla secca, oltre a numerose anfore, vasellame e corredi. Per ragioni di sicurezza non è possibile scendere ad una profondità ulteriore.
Saranno considerevoli le ricadute in termini di presenze turistiche e di nuova occupazione in una zona fortemente colpita dalla crisi economica e, quest’anno, anche dai problemi di collegamento con la terraferma. L’ area delimitata e dotata di boe di ingresso e uscita sarà accessibile dall’1 agosto.
I visitatori troveranno segnaletica in Pvc per comprendere la storia dei reperti visibili sul fondo, e riceveranno una guida tascabile in Pvc.
Per informazioni 090/9889077 - 340/1484645.
La prossima iniziativa della Soprintendenza del mare sarà quella di dotare il sito di telecamere subacquee, come già fatto a Cala Gadir, per consentire a chiunque da casa di ammirare via Internet i tesori sui fondali e di orientare l’inquadratura a piacimento.

Scopre una villa romana con Google Earth



SORBOLO (PARMA) - Nemmeno Heinrich Schliemann, lo scopritore di Troia, era un archeologo di professione; era diventato ricco commerciando ma la smodata passione per i poemi omerici l'aveva portato a realizzare grandissime scoperte in Grecia e Anatolia. E anche se la buona sorte gli ha dato una grossa mano, c'è da dire che i suoi ritrovamenti erano frutto della sua caparbia volontà, e non del caso. Non così si può dire dell'improvvisato archeologo Luca Mori, che grazie a Internet, a «buon occhio» e a una geniale intuizione ha scovato una villa romana sepolta sotto i campi coltivati del Parmense. L'ANOMALIA SATELLITARE - Luca Mori usa i computer per lavoro e per svago, e come molti internauti ha scoperto Google Earth, programma che offre foto satellitari spesso dettagliatissime di tutto il mondo (e crea dipendenza...). E come tutti coloro che Google Earth l'hanno usato, ha pensato bene di vedere dall'alto casa sua. Così, poco più a ovest del suo paese, Sorbolo, e precisamente nei pressi di Frassinara (Parma), si è accorto che il colore dei terreni agricoli presentava delle anomalie: una macchia a forma di occhio e altre più rettilinee. Essendo un esperto di computer grafica, ha provato a scoprire se si trattava di difetti della foto in sé: risposta negativa. LA FORTUITA SCOPERTA - Sapendo che oggigiorno molti ritrovamenti archeologici partono proprio da rilevamenti satellitari che evidenziano anomalie nel terreno, Mori si è informato dell'eventuale presenza umana nel territorio in epoche passate, scoprendo che la zona ha già regalato reperti dell'Età del Bronzo e del Ferro. E così ha mobilitato i professionisti. Esperti del Gruppo Culturale Quingento di San Prospero (Parma) e del museo archeologico della città ducale hanno stabilito che l'«occhio» è la traccia lasciata nel passato dal meandro di un corso d'acqua, mentre le linee regolari sono tracce di antiche strade ed edifici. In un primo tempo si pensava a un sito preistorico, ma il ritrovamento di una serie di ceramiche ha portato a capire che si tratta di un insediamento romano, forse una villa o una colonia agricola. PER PRIMO - Mori ha sicuramente creato un precedente. Chissà se la sua vicenda stimolerà altri internauti creando la figura del «cyber-archeologo». Non solo in Italia, si badi, visto che la celebre rivista americana «Nature» sta dando risalto alla sua intuizione anche oltreoceano.
Per chi volesse dilettarsi osservando con Google Earth la scoperta basta cercare queste coordinate (44°52'59.00''N - 10°25'17.47''E)

Asteroide distrusse Sodoma-Gomorra

Sodoma e Gomorra sarebbero state annientate da un asteroide del diametro di quasi un chilometro. E’ il messaggio contenuto su una tavoletta di terracotta del 700 a.C. con gli appunti di un astronomo sumero che osservava il cielo la notte della catastrofe. A decifrarlo, riporta il Times, sono stati ricercatori britannici che finalmente hanno svelato il mistero della “Planisphere tablet” dopo 150 anni di tentativi.
La tavoletta era stata ritrovata a metà ottocento da Henry Layard tra le rovine della biblioteca reale dell’antica Ninive. Secondo i ricercatori britannici, sarebbe la copia del 700 a.C. di appunti di un astronomo sumero che annotò quanto accadde la notte della catastrofe. Egli descrive l’asteroide come “una coppa di pietra bianca” che viene illustrata mentre “avanza con forza”.
Tramite una ricostruzione informatizzata di come appariva il cielo migliaia di anni fa, il gruppo di ricercatori ha anche stabilito la data dello storico avvistamento: all’alba del 29 giugno 3123 a.C. La tavoletta - della quale tuttavia sono leggibili solo metà dei segni - contiene quindi descrizioni dell’asteroide e altre della la posizione di nebulose e costellazioni. L’impresa della decifrazione è riuscita, dopo 5 tentativi senza esito, all’équipe dell’università di Bristol, guidata da Mark Hempsall. “E’ un meraviglioso frammento di osservazione, un pezzo di scienza assolutamente perfetto” ha dichiarato. Il gruppo di scienziati ha anche ipotizzato che l’asteroide sia precipitato sulle alpi austriache, a Koefels, dove esiste un’antica frana larga 5 km e profonda 500 metri. Durante la caduta deve aver avuto anche effetti da vera catastrofe: con temperatura a 400 gradi, frammenti del corpo celeste anche molto grandi caduti ovunque, e la distruzione di un milione di km2 di territorio. In un suo recente libro sulla scoperta (“A Sumerian Observation of the Koefels’ Impact Event”), inoltre Hempsall ricorda che 20 antichi miti parlano di devastazioni dalle dimensioni di quelle generate dall’impatto dell’asteroide. Tra loro anche l’Antico Testamento.

Recuperato a Parigi il più grande dipinto pompeiano di paesaggio

Roma, 27 mar. - (Adnkronos Cultura) - Un santuario campestre con statue di bronzo e marmo, un satiro su mulo tipico del corteo di Dioniso, una figura umana che compie un sacrificio su un altare, un secondo edificio con scale e porticato e pergole con uva: questi gli elementi riconoscibili, tutti riconducibili al mondo dionisiaco, che emergono dai frammenti che compongono quella che può ritenersi “la più grande pittura pompeiana di paesaggio finora conosciuta”, come ha spiegato all’Adnkronos Cultura Stefano De Caro, direttore generale per i Beni Archeologici del ministero per i Beni e le Attività Culturali, presentando oggi l’affresco pompeiano, trafugato negli anni Settanta, illecitamente venduto e quindi finito all’estero, rinvenuto nel febbraio del 2008 dal Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza.
L’affresco, del I secolo d.C., è attualmente affidato in giudiziale custodia a Palazzo Massimo di Roma ed esposto, a partire da oggi, nella mostra “Rosso Pompeiano”, aperta al pubblico fino al 1 giugno. Si tratta di un’opera eccezionale per le grandi dimensioni di 295 cm x 150 cm (solitamente i paesaggi pompeiani sono di dimensioni ridotte perché si inseriscono all’interno di decorazioni parietali più ampie) ed era stato sottratto negli anni Settanta insieme con altro materiale storico-archeologico proveniente dal saccheggio di siti campani.
L’affresco è stato rinvenuto nella casa parigina “del noto collezionista ed editore francese Jacques Marcoux - ha spiegato il Capitano Massimo Rossi, del gruppo Patrimonio Archeologico Guardia di Finanza - dopo una lunga indagine iniziata a Roma e che riguardava i traffici illeciti dei tombaroli che scavavano nella zona di Ceri e Cerveteri. Le opere trafugate venivano immesse sul mercato clandestino attraverso antiquari compiacenti, e proprio nella casa di uno di questi antiquari è stata rinvenuta la documentazione dell’affresco pompeiano, venduto 15 anni prima e rimasto dal 1982 al 1986 nel porto franco di Ginevra”.
Di questo straordinario affresco pompeiano, purtroppo ridotto in frammenti, purtroppo non si conosce l’esatta provenienza. “La persona che ha compiuto il furto negli anni Settanta è morta negli anni Ottanta - ha spiegato il Capitano Rossi - anche se la documentazione che accompagnava l’affresco lo faceva risalire al sito campano di Oplontis (città romana corrispondente all’attuale Torre Annunziata ndr)”.
Quello che sembra certo, per il momento, è che l’affresco provenga dall’area vesuviana, perché “i frammenti che lo compongono si possono chiaramente far risalire al ‘Quarto stile’, prevalente dopo il terremoto, con i suoi repertori standardizzati - ha aggiunto il direttore De Caro - proviene quasi sicuramente da una grande villa privata della quale forse decorava la parete del giardino. Non ritengo che sarà impossibile rintracciare l’edificio di provenienza e, magari, ritrovare anche i frammenti mancanti”.
Nel frattempo, i restauratori hanno parlato della necessità di procedere con la pulitura dei frammenti e magari con il reintegro delle parti mancanti ad acquerello o affresco, ma anche studiare meglio il posizionamento dei frammenti che non necessariamente potrebbe essere quello giusto. “Al termine della mostra - ha aggiunto il Capitano Rossi - è lecito pensare che l’affresco possa tornare subito alla soprintendenza competente”.

Màlia: un palazzo minoico poco conosciuto

A Màlia si trova un importante palazzo minoico strutturato come gli altri a Creta e di cui condivise la sorte.La presenza umana a Malia risale al periodo del Neolitico (6000-3000 a.C.) attestata da resti di mandrie, da grotte lungo la costa e da case del periodo prepalaziale (2500 a.C.-2000 a.C.) trovate sotto le fondamenta del palazzo. Il primo palazzo di Malia fu costruito tra il 2000 a.C. e il 1900 a.C. Questo fu distrutto nel 1700 a.C. e ricostruito nel 1650 a.C. nello stesso luogo del precedente e seguendone fedelmente il piano. Nel 1450 a.C. anche il nuovo palazzo fu distrutto insieme agli altri centri minoici di Creta. Il sito fu occupato per un breve periodo nel XIII secolo a.C. Bisognò quindi aspettare il periodo romano perché il luogo venga nuovamente ripopolato. Nella vicina località di Marmara sono stati trovati resti romani tra cui una basilica ben conservata del VI secolo.
Gli scavi furono intrapresi dall’ archeologo Chatzidakis nel 1915 sulla collina Azymo ed ebbero il merito di portare alla luce l’ala occidentale del palazzo e tombe lungo la costa. Più tardi fu la scuola archeologica francese di Atene ad iniziare ricerche accentrate nella zona del palazzo, del villaggio circostante e nelle necropoli della costa. I reperti sono esposti al museo archeologico di Iraklio ma una piccola parte di essi si trova al museo archeologico di Agios Nikolaos Le rovine del Nuovo palazzo, cui si accede attraverso una strada pavimentata intersecata da numerosi sentieri, le cosiddette vie processionali, sono oggi le meglio conservate.Ogni fianco del palazzo aveva un’entrata. Il cortile centrale del palazzo aveva un altare al centro e portici ai lati. L’ala occidentale del palazzo era dedicata al culto e vi si trovavano gli appartamenti dei dignitari e i magazzini. Il cortile era dominato da una loggia. A fianco al Kernos, tavola in pietra circolare con 34 cavità probabibilmente utilizzata per offetre votive stava un’altra gradinata che forse costituiva l’area del teatro.A sud e a sud ovest si trovavano i diversi ambienti del tesoro reale.Ad est le cucine e i magazzini dove venivano riposte le giare dell’olio e del vino.Al lato nord che era quello più corto del cortile c’era la sala ipostila a due fila di tre colonne preceduta da un’anticamera. Sopra vi era una sala di uguali dimensioni che forse era adibita a banchetti. Ad est vi era un corridoio che connetteva il cortile centrale con quello nord circondato da laboratori e magazzini.Il cimitero del palazzo era dislocato in grotte della costa a nord est. La più importante di queste grotte era quella di Chrysolakko che ha restituito il famoso gioiello delle api sulla goccia di miele, oggi esposto al museo archeologico di Iraklio.

I Faraoni alla Corte dei Savoia

Il Museo delle antichità egizie di Torino, meglio conosciuto semplicemente come Museo egizio, è considerato, per l’importanza dei reperti, tra i più importanti del mondo dopo quello de Il Cairo.
Ha sede nello storico Palazzo dell’Accademia delle Scienze, sede dell’omonima Accademia e che ospita anche la Galleria Sabauda, eretto nel XVII secolo dall’architetto Guarino Guarini.
Nel 2006 è stato visitato da 554.911 persone, con un aumento del 93,8% rispetto al 2005.

Il museo è stato fondato nel 1824 da Carlo Felice, che acquistò la Collezione Drovetti, composta dai ritrovamenti di Bernardino Drovetti, console francese in Egitto. Fu in seguito ampliato con i reperti provenienti dagli scavi di Ernesto Schiaparelli proveniente da Barbania.
Nel museo sono presenti circa 30mila pezzi che coprono il periodo dal paleolitico all’epoca copta. I più importanti sono:
la tomba intatta di Kha e Merit
il tempio rupestre di Ellesija
il Canone Reale, conosciuto come Papiro di Torino, una delle più importanti fonti sulla sequenza dei sovrani egizi
la Mensa isiaca, che i Savoia ottengono dai Gonzaga nel XVII secolo
la tela dipinta di Gebelein
i rilievi di Djoser
le statue delle dee Iside e Sekhmet e quella di Ramesse II scoperte da Vitaliano Donati nel tempio della dea Mut a Karnak
Il 6 ottobre 2004 è stato firmato un accordo trentennale tra la Fondazione Museo delle antichità egizie e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali per conferire i beni del museo alla Fondazione, presieduta dallo scrittore Alain Elkann e di cui fanno parte la Regione Piemonte, la Provincia di Torino, la Città di Torino, la Compagnia di San Paolo e la Fondazione CRT.
In tal modo il Museo egizio verrà gestito dalle istituzioni locali e godrà dei finanziamenti delle fondazioni bancarie, godendo al tempo stesso di ampia autonomia gestionale.

Peltuìnum: travolta dal declino romano


Peltuìnum (AQ) è il sito archeologico di un’antica città dei Vestini presso Prata d’Ansidonia, in provincia dell’Aquila, sulla Statale L’Aquila-Popoli all’uscita di Castlnuovo.
I Romani la ricostruirono fra la metà del I secolo a.C. e la 1ª metà del secolo seguente.
Era attraversato dalla Via Claudia Nova.
In epoca Normanna cambiò il nome in Civita Sedonia dal fondatore, un certo Sedonio, ma non raggiunse mai più l’importanza di Peltuinum.
Alcuni resti di Peltuinum sono: un anfiteatro, il teatro di età augustea, tratti di mura, un tempio forse di Apollo, ecc.

Amiternum: fra Sallustio e Ponzio Pilato

Amiternum (AQ) è poco fuori dalla città dell’Aquila, nel Comune di San Vittorino, fu un’antica città italica in Abruzzo fondata dalla tribù degli Sabini, le cui rovine sorgono oggi a 9 km da L’Aquila. Il suo nome deriva dal vicino fiume Aterno (Strabone).
Durante la loro espansione nel Centro-Sud Italia, al termine delle Guerre sannitiche, i romani conquistarono la città (293 a.C.) che divenne una prefettura, per essere promossa poi a municipium in età augustea. Sotto il dominio di Roma fu un’importante centro urbano (si contavano decine di migliai di abitanti) perché importante nodo stradale: situata lungo l’antica Via Cecilia che arrivava fino ad Hatria, dalla città partivano inoltre la Via Claudia Nova e due diramazioni della Via Salaria.Ancora presente nel medioevo con una serie di vescovi fino a circa l’anno mille, dopo di che venne unita alla diocesi di Rieti e da quel periodo cessò anche la sua già evanescente esistenza.
Diversi personaggi di rilievo nella storia romana nacquero ad Amiternum; il più antico che si ricordi è il console Appio Claudio Cieco, importante figura nel perido delle guerre di Roma contro i Sanniti e ricordato soprattutto per aver avviato la costruzione della Via Appia nel 312 a.C.
Nel 86 a.C. nacque nella città lo storico Sallustio, e circa un secolo dopo vi nacque Ponzio Pilato, futuro prefetto della Giudea noto per aver processato e condannato Gesù Cristo, ed in seguito condannato a morte da Tiberio. La regione circostante sarebbe legata anche all’ultima parte della vita di Pilato secondo alcune leggende: il corpo del procuratore sarebbe stato lasciato insepolto nei dintorni presso il lago di Pilato, come ulteriore punizione. Inoltre sembra che possedesse una villa nel luogo detto oggi montagna di Pilato, presso Fontecchio.

Alba Fucens: fra le taberne e il teatro

Alba Fucens (AQ) è situata a pochi chilometri dall’uscita autostradale di Avezzano (sull’A24 Roma-L’Aquila, era una antica città italiana che occupava una posizione elevata (ca. 1000 m s.l.m.) ai piedi del Monte Velino, a circa 6.5 km a nord di Avezzano.
Il nome latino deriva dalla posizione del suo abitato dal quale si poteva ammirare il sorgere del sole (l’alba) sul Lago del Fucino prima del suo prosciugamento avvenuto nel 1876.
Era una colonia latina fondata da Roma nel 304 a.C. nel territorio degli Equi, alla frontiera con i Marsi, in una posizione strategica. Si trova su una collina appena a nord della via Valeria, che probabilmente fu prolungata oltre Tibur in questo stesso periodo. Durante la Seconda guerra punica Alba inizialmente rimase fedele, ma in seguito, assieme ad altre undici colonie (Ardea, Nepete, Sutrium, Carseoli, Sora, Suessa, Circeii, Setia, Cales, Narnia, Interamna) rifiutò di inviare i contingenti richiesti e fu perciò punita.
In seguito si trasformò in un posto dove inviare importanti prigionieri di stato, come Siface re di Numidia, Perseo re di Macedonia, Bituito, re degli Arverni. Fu attaccata dagli alleati durante la Guerra sociale, ma rimase fedele a Roma e la posizione relativamente forte lo rese un posto di una certa importanza nelle guerre civili. La sua prosperità, nel periodo imperiale, può essere arguita soltanto dal numero di iscrizioni trovate.
È principalmente notevole per le sue fortificazioni conservate splendidamente. Le pareti esterne, che hanno un circuito di quasi tre chilometri, sono costruite con massi poligonali, i blocchi sono congiunti con attenzione e le facce sono lisciate. In base alle nostre conoscenze attuali su tali costruzioni la data di edificazione non può essere determinata con certezza. Non sono conservate fino ad un’altezza considerevole; ma la disposizione delle porte è chiaramente identificabile: di regola si trovano alla fine di conclusione di un tratto lungo e diritto delle mura e sono disposte in modo da lasciare esposta la parte destra di una eventuale forza d’attacco. Sul lato nord c’è, per una lunghezza di circa 140 metri, una triplice linea di difese di data posteriore (probabilmente aggiunta dai colonizzatori romani), visto che sia le mura propriamente dette che la doppia parete gettata fuori davanti sono parzialmente costruite con calcestruzzo e la superficie è costituita da muratura poligonale più fine (in cui sembra che siano stati evitati espressamente giunti orizzontali). Ad un chilometro e mezzo al nord della città un enorme terrapieno (con un fossato su entrambi i lati ma ad una distanza considerevole da esso) può essere seguito per circa tre chilometri.

All’interno delle mura le costruzioni sono quasi tutte di data posteriore. Gli scavi sono stati fatti in modo non sistematico, comunque si possono delineare i resti degli edifici ed il percorso delle strade nonché un vasto sistema dei passaggi sotterranei forse connessi alle difese del posto.
La collina all’estremità occidentale era occupata da un tempio, su cui è stata costruita la chiesa di S. Pietro che contiene antiche colonne ed alcuni esemplari notevolmente fini di mosaici cosmateschi. È l’unica chiesa monastica in Abruzzo in cui la navata centrale è separata da quelle laterali da antiche colonne.
La collegiata di S. Nicola, nel villaggio, conteneva una notevole stauroteca (custodia della croce) del XIII secolo (ora nel museo a Celano) e un trittico di legno d’imitazione dello stile Bizantino con smalti, anche questo del tredicesimo secolo.