sabato 8 gennaio 2011

Scoperte a Gerusalemme le terme della legione che distrusse il tempio

Una piscina costruita 1.800 anni fa è stata scoperta nel quartiere ebraico di Gerusalemme vecchia, durante gli scavi archeologici condotti in vista della costruzione di un mikve (bagno rituale ebraico). Ne ha dato notizia la Israel Antiquities Authority, secondo quanto riferisce il sito Israele.net citando il «Jerusalem Post». La Israel Antiquities Authority, che ha condotto gli scavi su iniziativa della Municipalità di Gerusalemme e della Moriah Company for the Development of Jerusalem, ha spiegato che la piscina faceva parte di una struttura termale usata dalla X Legione romana, la stessa che nel 70 dopo Cristo conquistò Gerusalemme e distrusse il Secondo Tempio ebraico. La scoperta getta nuova luce su Aelia Capitolina, la città che venne eretta sulle rovine del Tempio e della Gerusalemme del I secolo ridisegnando l'aspetto dell'antica città.
«Siamo rimasti sorpresi nello scoprire un'antica struttura termale proprio sotto al punto in cui sarà costruito un mikve», ha detto Ofer Sion, direttore degli scavi per conto della Israel Antiquities Authority. «Le mattonelle della struttura termale, su cui sono incisi i simboli della X Legio Fretensis, (Leg X Fr), sono state rinvenute in situ e sembra che fossero usate per coprire un canale idrico scavato nella roccia, posto sul fondo della piscina. Le centinaia di tegole in terracotta del tetto che sono state trovate sul pavimento della piscina indicano che si trattava di una struttura coperta». «A quanto pare - ha continuato Sion - la piscina veniva usata dai soldati che erano di guarnigione nella città dopo aver soffocato la rivolta ebraica di Bar Kochba nel 135 dopo Cristo, quando appunto fu fondata la città romana di Aelia Capitolina. Sappiamo che l'accampamento della X Legione era situato entro i limiti di quella che è oggi la Città Vecchia, probabilmente nella zona dell'attuale quartiere armeno. Questa ipotesi è avvalorata dalla scoperta della piscina nell'adiacente quartiere ebraico, il che dimostra che una gran quantità di soldati si sparpagliava ed era attiva anche al di fuori dell'accampamento, in altre parti della Città Vecchia».
«Un'altra interessante scoperta che ha suscitato emozione durante gli scavi - ha raccontato Sion - è l'impronta della zampa di un cane che probabilmente apparteneva a uno dei soldati. L'impronta della zampa è impressa sul simbolo della Legione su una delle tegole: la cosa potrebbe essere accaduta accidentalmente o essere stata fatta per scherzo».
Yuval Baruch, l'archeologo della Israel Antiquities Authority per il distretto di Gerusalemme, ha sottolineato l'importanza della scoperta che contribuirà in modo significativo allo studio della città di Gerusalemme dopo la distruzione ad opera dei Romani. «Nonostante gli estesi scavi archeologici compiuti nel quartiere ebraico -ha detto Baruch- finora non era stato scoperto nemmeno un edificio direttamente riconducibile alla legione romana. L'assenza di un tale reperto aveva portato alla conclusione che Aelia Capitolina, la città romana costituita dopo la distruzione di Gerusalemme, fosse piccola e di superficie limitata. Questa nuova scoperta, insieme ad altre degli anni recenti, dimostra che la città era considerevolmente più grande di quanto si pensasse».
«Le informazioni su Aelia Capitolina sono preziose -ha continuato Baruch- e possono dare un grande contributo alla ricerca su Gerusalemme, perché fu quella la città destinata a determinare il carattere e l'aspetto generale dell'antica Gerusalemme e della Città Vecchia come la conosciamo oggi. La conformazione di quella città ha successivamente determinato il profilo delle sue mura e l'ubicazione delle porte usate ancora fino ad oggi». La Israel Antiquities Authority ha annunciato che integrerà i resti dell'antico bagno termale nel progetto per il nuovo bagno rituale (mikve). 

Cina, trovata una "archeozuppa": brodo d'ossa vecchio di 2.500 anni

Una zuppa stagionata per due millenni e mezzo non poteva che saltar fuori in Cina, Paese che già vanta, tra le specialità culinarie, prelibatezze ardite per i palati occidentali, come le «uova centenarie», lasciate a fermentare per mesi prima di essere servite. La zuppa in questione, però, è una straordinaria scoperta archeologica.
È stata dissotterrata, racconta il quotidiano cinese Global Times durante i lavori di ampliamento dell'aeroporto internazionale di Xianyang a Xian, città della provincia di Shaanxi celebre per un altro ritrovamento archeologico, l'Esercito di terracotta dell'imperatore Qin Shi Huang. La zuppa, vecchia di 2.400 anni, era all'interno di una pentola in bronzo a tre piedi, alta una ventina di centimetri e sigillata, parte del corredo di una tomba: si tratta di un liquido verdastro - colore che secondo gli archeologi sarebbe dovuto all'ossidazione del metallo - nel quale sono immerse alcune ossa. In un altro contenitore in bronzo è stato inoltre rinvenuto quasi un litro di un liquido inodore e semitrasparente che potrebbe essere vino.
Il «pranzo» d'epoca è ora al vaglio di specialisti che dovranno identificarne gli ingredienti. Al quotidiano cinese un archeologo del team che ha rinvenuto il calderone, Liu Daiyun, ha dichiarato che «si tratta della prima scoperta di una zuppa d'ossa nella storia dell'archeologia cinese», e che il ritrovamento potrebbe permettere di comprendere meglio «le abitudini alimentari nel periodo dei Regni combattenti», poiché la tomba potrebbe appartenere a un militare di basso rango di quell'epoca.
Decisamente più prudente il vicepreside della scuola di Archeologia di Pechino, Zhao Huacheng, che invita ad attendere i risultati dei test, poiché il liquido potrebbe essersi infiltrato nel contenitore dall'esterno.
La «zuppa» di Xian è solo l'ultima proposta di un «menu archeologico» che negli ultimi mesi ha visto la Cina protagonista. Sempre nella provincia di Shaanxi nel 2002 è stata ritrovata una «dispensa» di frutta, che conteneva centinaia di semi di albicocche, meloni e prugne, risultati vecchi di 3000 anni con la datazione al carbonio 14. E a ottobre scorso il Journal of Archaeological Science ha pubblicato uno studio sulle sepolture della necropoli di Subeixi, nello Xinjiang, risalenti a circa 2.500 anni fa. Accanto a mummie dalle fattezze più europee che orientali, gli archeologi hanno ritrovato, quasi intatto, anche il loro pranzo: noodles e focacce di miglio.

su ilGiornale

Archeologia: la navigazione cominciò 130 mila anni fà

L'uomo cominciò a navigare nel Mediterraneo almeno 130.000 anni fa, ovvero oltre 100.000 anni prima di quanto si sapeva sino ad oggi.
È quello che emerge dalle ricerche condotte a Creta da un team di archeologi greci e americani guidati dal prof Thomas Strasser dell'Università di Providence e che appaiono in grado di rivoluzionare l'intera storia umana. Secondo quanto rende noto oggi il ministero della cultura ellenico in un comunicato, gli archeologi hanno rinvenuto, vicino «a terrazze marine elevate» e risalenti ad almeno 130.000 anni fa, utensili di pietra in due località di Creta che datano fra i 130.000 e i 700.000 anni fa e costituiscono la prova indiretta più antica di una navigazione umana, almeno tra l'isola mediterranea e la terraferma. Sino ad oggi la più antica navigazione nel bacino del Mediterraneo era fatta risalire a 12.000 anni prima di Cristo. L'agenzia Ana, nel riferire della scoperta, cita un membro del gruppo di archeologi, il professor Curtis Runnels, secondo il quale se gli abitanti di Creta erano in grado di attraversare il mediterraneo 130.000 anni fa, si può immaginare che potessero compiere anche viaggi anche al di là del Mare Nostrum.

Iran: scoperta nel sud-est citta' di 5mila anni fa

Gli archeologi iraniani hanno scoperto nel sud-est del paese i resti di una città che risale a oltre cinquemila anni fa. Lo riporta l'agenzia Fars, spiegando che la scoperta è avvenuta per caso, nel corso della realizzazione di un progetto edilizio nella regione Khajeh Askar, nei pressi della città di Bam, provincia di Kerman. "Parte delle rovine è stata purtroppo danneggiata durante gli scavi - ha spiegato l'archeologo Nader Alidadi Soleimani - I manufatti trovati nel sito testimoniano che si tratta di una delle più antiche aree residenziali di tutto l'Iran".
"Gli abitanti del sito erano in contatto con altre comunità del tempo - ha aggiunto lo studioso - tra cui la civiltà di Jiroft", che si sviluppò nel terzo millennio a.C. e che fu scoperta anche essa per caso nel 2001, in seguito a un'alluvione del fiume Halil Roud, divenedo presto per gli archeologi, per la ricchezza dei ritrovamenti, un vero 'paradiso perduto'. Tra i reperti trovati nel nuovo sito, numerosi oggetti in terracotta, da cui sembra emergere che gli abitanti della città non facevano uso della ruota per modellare i vari.
Sono inoltre stati individuati due cimiteri e gli scheletri di un uomo e di una donna, uno dei due seppellito in una posizione fetale. Accanto agli scheletri, sono emersi vari oggetti, tra cui alcune conchiglie usate come contenitori di cosmetici. La provincia di Kerman ospita tra i più importanti siti archeologici dell'Iran, tra cui la città storica di Bam, la più grande struttura in mattoni al mondo, proclamata patrimonio dell'umanità dall'Unesco e quasi completamente distrutta da un terremoto nel 2003.
 

Il primo uomo moderno potrebbe essere apparso in Israele

È stato a lungo creduto che l’uomo moderno  fosse emerso dal continente africano 200.000 anni fa. Ora  gli archeologi dell’Università di Tel Aviv hanno scoperto la prova che l’Homo sapiens vagava nella zona ora corrispondente allo stato di  Israele già 400.000 anni fa  e sarebbe la prima prova dell’esistenza dell’uomo moderno in tutto il mondo.
I risultati sono stati scoperti nella Grotta Qesem, un sito preistorico che si trova vicino a Rosh Ha’ayin che prima era già stato scavato nel 2000. Il Prof. Avi Gopher e il Dr. Ran Barkai del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Tel Aviv, che gestiscono gli scavi, ed il Prof. Israel Hershkowitz del Dipartimento dell’Università di Anatomia e Antropologia e Sackler School of Medicine, insieme con un team internazionale di scienziati, ha  eseguito un’analisi morfologica su otto denti umani rinvenuti nella grotta Qesem.
Questa analisi, che includeva la scansione TC e ai raggi X, indica che la dimensione e la forma dei denti sono molto simili a quelle dell’uomo moderno. I denti rinvenuti nella grotta Qesem sono molto simili alle altre prove della presenza dell’uomo moderno nella zona corrispondente allo stato di  Israele, datata circa 100.000 anni fa, scoperte nella grotta di Skhul nel Carmelo e  nella grotta Qafzeh  nella bassa Galilea vicino a Nazareth. I risultati delle scoperte dei ricercatori ‘sono in corso di pubblicazione nel Journal of Physical Anthropology.
La lettura del passato
La Grotta Qesem  è datata in un periodo compreso tra 400.000 e 200.000 anni fa, e gli archeologi che vi lavorano credono che i risultati indichino una significativa evoluzione nel comportamento dell’uomo antico. Questo periodo di tempo è stato fondamentale nella storia del genere umano sotto il punto di vista culturale e biologico. I denti che sono allo studio indicano che questi cambiamenti sono apparentemente legati a cambiamenti evolutivi in atto in quel momento.
Il Prof. Gopher e il Dr. Barkai hanno rilevato che i risultati relativi alla cultura di chi abitava nella Grotta Qesem – tra cui la produzione sistematica di lame di selce, l’uso regolare del fuoco, le prove di caccia, il taglio e la condivisione di carne animale e l’uso di materie prime minerarie per produrre strumenti di selce da fonti nel sottosuolo – rafforzano l’ipotesi che questo sia stato di fatto il comportamento innovativo e pionieristico che può corrispondere con la comparsa dell’uomo moderno.
Una scoperta senza precedenti
Secondo i ricercatori, i ritrovamenti effettuati nella Grotta Qesem potrebbero rovesciare la teoria che l’uomo moderno sia nato nel continente africano. Negli ultimi anni, evidenze archeologiche e scheletri umani trovati in Spagna e Cina hanno compromesso questa posizione, ma i risultati della Grotta Qesem, a causa dell’epoca recente a cui fanno riferimento, sono una scoperta senza precedenti.
Gli scavi nella Grotta Qesem  continueranno e i ricercatori sperano di scoprire ulteriori reperti che consentiranno loro di confermare i risultati pubblicati fino ad ora, per migliorare la nostra comprensione dell’evoluzione del genere umano – in particolare la comparsa dell’uomo moderno.

su GaiaNews

sabato 9 ottobre 2010

Peru': scoperta citta' perduta

Una citta' perduta sommersa dalla giungla, e' stata scoperta sul versante amazzonico delle Ande peruviane.La citta' perduta, battezzata Atumpucro, si trova a oltre mille metri di quota, sulle rive del fiume Utcubamba, a circa due ore dalla citta' di Chachapoyas. Nel distretto erano gia' state rinvenute costruzioni circolari simili a quelle di Atumpucro, ma sulla civilta' che le ha erette non si sa ancora nulla.

su ANSA

Scoperta statua di Amenhotep III a Luxor

Un team di archeologi egiziani ha scoperto la parte superiore di una statua del faraone Amenhotep III, il monarca che regnò in Egitto fra il 1390 e il 1352 avanti Cristo e secondo recenti analisi del Dna sarebbe stato il nonno di Tutankhamon.

La statua, in granito rosso di un metro e trenta centimetri di altezza e 95 di larghezza, è stata rinvenuta nel sito funerario del faraone a Kon el Hittan sulla sponda occidentale a Luxor e secondo gli archeologi avrebbe potuto misurare circa tre metri.

L'annuncio della scoperta è stato fatto dal ministro della cultura egiziano Farouk Hosny e dal capo delle antichità Zahi Hawass. La statua rappresenta Amenhotep III sul trono accompagnato dal dio Amon, uno dei più importanti della mitologia dell'antico Egitto.

La statua è "fantastica" ha commentato Hawass. "Sono visibili tutti i tratti del viso", ha spiegato il capo delle antichità egiziane, sottolineando che si tratta di una delle migliori scoperte fatte nella zona proprio per l'alta qualità della fattura.

GB: Scopre elmo bronzo con metal detector

Andando per campi con un metal detector alla ricerca di monete, un 'cacciatore di tesori' inglese ha fatto una eccezionale scoperta archeologica: un elmo da cavalleria romano completo della maschera facciale. Il copricapo raffigura il volto di un giovane dagli occhi ieratici e risale a circa 2.000 anni fa. Secondo gli esperti era un oggetto cerimoniale, da indossare in parata come suggerisce Arriano di Nicomedia in un trattato militare dell'epoca dell'imperatore Adriano, non uno scudo protettivo per un soldato in combattimento. La scoperta è avvenuta nel presi del villaggio di Crosby Garrett in Cumbria. Il giovane cacciatore di tesori, identificato solo come un uomo di circa vent'anni, aveva per anni inseguito oggetti preziosi passando al metal-detector le campagne nei pressi della sua fattoria nel Nord Est dell'Inghilterra. Finora però non aveva trovato altro che poche monete. Ci si può immaginare dunque la sua sorpresa quando in maggio, a faccia in giù nel fango, ha avvistato lo straordinario elmo di bronzo: inizialmente ha pensato che si trattasse di un ornamento di età vittoriana.

Se la scoperta fosse stata fatta in Italia l'elmo sarebbe quasi certamente finito in un museo. Non così in Gran Bretagna dove gli oggetti antichi di bronzo non sono coperti dal Treasure Act, una legge del 1996 secondo cui solo artefatti vecchi di oltre 300 anni e composti per almeno il 10 per cento in oro o argento devono essere sottoposti a un'inchiesta governativa che ne può condizionare la vendita. Diverso è il caso di un oggetto di bronzo che può così finire sul libero mercato, un fatto che non ha mancato di suscitare polemiche: i proventi saranno divisi a metà tra scopritore e proprietario del campo. E' stato così che l'elmo è finito in mano a Christiés che gli ha dato una stima di 300 mila sterline: poco secondo esperti citati dal Guardian secondo cui il prezioso manufatto potrebbe arrivare a superare il mezzo milione. Tullie House, un museo di Carlisle in Cumbria che ha una importante collezione di antichità romane, vorrebbe disperatamente comprare l'elmo con la benedizione del British Museum. Sarà inevitabile così una battaglia a colpi di puntate quando il 7 ottobre l'enigmatico volto di bronzo coi riccioli coperti da un cappello frigio rifinito alla punta da un grifone verrà venduto al migliore offerente. Originariamente la superficie era stata stagnata cosicché doveva brillare come argento mentre grifone sul cappello e capelli erano probabilmente dorati: "E' uno straordinario esempio di metallurgia romana al suo apice", ha sostenuto Christie's. Finora sono state scoperte solo due elmi-maschera cerimoniali come questo: uno nel 1796 oggi al British Museum, l'altro nel 1905 e adesso al Museo di Antichità di Edimburgo.
 
su ANSA

Nuove scoperte archeologiche dell’Era del Bronzo a Bratislava

Gli archeologi hanno svelato ulteriori resti di un insediamento dell’età del Bronzo presso il villaggio di Budmerice, (nella regione di Bratislava) tra i quali uno scheletro umano ben conservato.
Il sito archeologico, che si estende su una superficie pari a quella di una moderna metropoli, era stato individuato sin dagli anni cinquanta ed è oggetto di periodiche campagne archeologiche.
“Il villaggio risale ad un epoca compresa tra il 18esimo ed il 15esimo secolo prima di Cristo e quindi scheletri, abitazioni, fortificazioni, ceramiche e gioielli in bronzo sono databili ad almeno 3500 anni fa” informa Pavol Jelinek dell’Istituto Storico Archeologico Slovacco (SAHI).
Tutti gli scavi archeologici sono condotti in cooperazione al museo di Pezinok presso il quale saranno studiati, classificati ed  esposti gli artefatti ritrovati.

su LaVocedellaSlovacchia

domenica 18 luglio 2010

Tesoro in un relitto, e' champagne del '700

Bollicine piccolissime e perfette di champagne francese con un retrogusto di tabacco ma anche di frutti bianchi. Dovevano, con ogni probabilita', arrivare sulla tavola imbandita dello zar Pietro il grande, gentile omaggio di Luigi XVI di Francia, e invece sono finite in fondo al mare Baltico al largo delle isole Aaland. Fino a pochi giorni fa quando un gruppo di sub si è imbattuto nel relitto che conteneva il prezioso nettare. Uno dei sommozzatori ha riportato in superficie una delle trenta bottiglie, semplicemente per cercare di identificare il vascello colato a picco e si è imbattuto in un tesoro. Lo champagne dal gusto "assolutamente favoloso" come ha testimoniato un'enologa, che ha avuto il raro privilegio di gustarlo, potrebbe diventare il più antico champagne bevibile finora ritrovato. Dovrebbe trattarsi di un Veuve Clicot prodotto negli anni a partire dal 1780, anche se le ricerche sono appena iniziate per identificare il sensazionale carico, dato che le bottiglie sono senza etichetta. Ma recano il simbolo di un'ancora incisa sui tappi di sughero e questo rende prevalente, al 98%, la tesi che si tratti di Veuve Clicquot. Almeno così dicono i produttori di Moet Chandon, interpellati per tracciare l'identikit del prezioso liquido, scoperto ad una profondità di 55 metri sul fondale del mare che separa la Finlandia dalla Svezia.
E' stata proprio l'assenza di luce abbinata alle basse temperature del mare a garantire che lo champagne potesse arrivare ad oggi con le sue caratteristiche intatte. Il capo della squadra dei sub che ha fatto la scoperta Christian Ekstrom, azzarda anche una ricostruzione sulla data di produzione dello champagne. Veuve Clicquot, spiega, ha cominciato la sua produzione di champagne nel 1772 e le prime annate sono state disponibili non prima del 1782. Poi è arrivata la rivoluzione francese nel 1788-1789, che ha paralizzato la produzione dell'aristocratica bevanda. Quindi le bottiglie dovrebbe essere state prodotte in questo periodo.
La scoperta potrebbe annientare il record di champagne ancora bevibile detenuta finora da un enologo britannico, che è il geloso custode di un Perrier Jouet, annata 1825. L'enologa che ha gustato lo champagne degli abissi, Ella Grussner Cromwell Morgan, ne è assolutamente entusiasta. Confessa di avere ancora in frigo un bicchiere di questo nettare di color oro scuro, dal bouquet "sorprendente, intenso, particolarmente dolce, pur mantenendo la sua acidità". "Me lo vado a vedere ogni cinque minuti perché non ci posso ancora credere", dice l'enologa secondo la quale ogni bottiglia potrebbe essere battuta all'asta per circa 53.000 euro. Ma essendo champagne del re di Francia potrebbe anche valere milioni di euro, per la gioia degli amministratori delle isole Aaland, regione autonoma della Finlandia.

venerdì 16 luglio 2010

Ground Zero: spunta un vascello del '700

Sorpresa a Ground Zero: scavando tra le macerie è emerso il relitto di un vascello del Settecento. La scoperta è stata fatta dagli operai del cantiene newyorkese, al lavoro per edificare le fondamenta del nuovo World Trade Center che nascerà dalle ceneri delle Twin Towers distrutte nel 2001. A dieci metri sotto il livello stradale è stato trovato uno scafo in legno di circa 10 metri e un'ancora, ma non è chiaro se anche questa appartenga all'antica imbarcazione.

su Repubblica.it

giovedì 15 luglio 2010

La tavola rotonda di re Artù è un anfiteatro romano

Non sarà una magia di Merlino a svelare i segreti della tavola rotonda ma un documentario che verrà trasmesso da History Channel il prossimo 19 luglio. In King Arthur's Round Table Revealed un gruppo di storici individua in un un anfiteatro romano scoperto di recente nella località inglese di Chester, un "castrum", di evidente origine romana come la probabile sede delle leggendarie imprese dei cavalieri della Tavola Rotonda e Re Artù.

Secondo gli studiosi la tavola rotonda, così come era stata descritta nei romanzi del ciclo bretone, «E 'l palagio e la sala e 'l cerchiòvita (il circuito) era tutto ritondi che sedendo a tavola l'un vedeva l'altro per viso e quando erano quivi dentro erano tutti tondi cioè una cosa e tutti stavano a una posta e fedìano un segno, cioè stavano alla posta dell'ubbidienza e traevano a un segno e cioè all'amore» non è mai esistita. In realtà il luogo di incontro e reclutamento dei cavalieri di re Artù era una struttura circolare in legno e pietra, in grado di accogliere fino a 10.000 persone sedute proprio come in un anfiteatro.
Lo storico Chris Gidlow in un'intervista al Daiy Mail ha spiegato che Camelot non sarebbe stata dunque un castello costruito ex novo, ma sarebbe sorta su una struttura costruita e in seguito abbandonata in epoca romana: a convincere gli esperti sarebbe stata una targa in onore dei martiri cristiani scoperta nello stesso sito, alla quale si allude nelle prime testimonianze scritte della leggenda arturiana, risalenti al VI secolo dopo Cristo. 

su IlSole24Ore

Urusalim è davvero Gerusalemme

Gerusalemme sorge sulle rovine della città cananea chiamata Urusalim la cui localizzazione sulla propaggine meridionale della collina orientale della Città Vecchia è certa. Lo scrive l'Osservatore Romano che dedica un ampio servizio al ritrovamento di un piccolo frammento di soli 3 cm di argilla con chiare tracce di bruciato, ritrovato setacciando accuratamente il terreno di riporto ai piedi di una torre che era parte delle fortificazioni della città del X-IX secolo prima dell'era cristiana, consioderato "la più antica iscrizione rinvenuta a Gerusalemme e potrebbe rivelarsi un fondamentale tassello nella ricostruzione della storia dell'antica città dei Cananei/Gebusiti, divenuta, dopo la conquista da parte di Davide, la capitale degli Israeliti. La scoperta - sottolinea il giornale vaticano - è opera della missione archeologica diretta da Eilat Mazar che da diversi anni ha ripreso le indagini nella parte nord della collina sud-orientale della Citta' Santa, il biblico Ophel, oggi nel quartiere palestinese che si estende a sud del recinto del Tempio (lo Haram esh-Sherif dove sorgono la Moschea di al-Aqsa e la Cupola della Roccia). Le dimensioni del reperto, il ductus dei cunei, letti dagli assiriologi Wayne Horowitz e Takayoshi Oshima, lo studio mineralogico dell'argilla, opera di Yuval Goren, non lasciano dubbi: si tratta di una tavoletta cuneiforme databile al secolo xiv prima dell'era cristiana, realizzata con argilla locale delle colline centrali della Palestina, del tutto simile agli esemplari da el-Amarna, la località in Egitto dove venne rinvenuto, nel lontano 1887, l'archivio della corrispondenza internazionale è scritto su tavolette cuneiformi in lingua accadica di Amenofi iv, il faraone "eretico" che si ribattezzo' Akhenaton. In questo archivio ben sette lettere erano state inviate da Abdi-Khepa sovrano di Urusalim, una importante citta'-stato della Palestina, identificata appunto con Gerusalemme. Fino a pochi mesi fa i dati dell'archivio di el-Amarna, seppur precisi, non avevano trovato riscontro nell'archeologia gerosolimitana. Un secolo e mezzo di scavi condotti in ogni punto possibile della Città Vecchia e, in particolare, nella cosiddetta Citta' di Davide o Fortezza di Sion da non confondersi con la Torre di Davide, presso la Porta di Giaffa non avevano restituito che pochi frammenti ceramici datati all'epoca del Bronzo Tardo e questo aveva spinto diversi studiosi a mettere in dubbio l'identificazione di Urusalim delle lettere di el-Amarna con la Gerusalemme dei Cananei (i Gebusei nel racconto biblico che si riferisce agli ultimi secoli del ii millennio prima dell'era cristiana).

su IMGPress

giovedì 6 maggio 2010

Gli ultimi segreti della Terra

È l’ultimo degli esploratori. Senz’altro uno dei più grandi viaggiatori del mito di questo secolo e di quello precedente. Un Ulisse che, nonostante i settant’anni, non ha ancora gettato l’ancora. Perché, dice, «c’è ancora moltissimo da scoprire». Tim Severin ha cominciato a sognare da bambino. A ventun anni, studente di Oxford, prende la sacca: in sella a una Norton dà gas da Venezia alla Cina, lunga la rotta di Marco Polo. Poi, legge la «Navigatio Sancti Brendani» scritta da Brendano, il monaco irlandese del V-VI secolo che ha viaggiato sette anni per mare in cerca del Paradiso, e ne ripercorre l’impresa: con una barca costruita con le tecniche di 1500 anni fa. Non pago, ricrea il mito di Giasone e della ricerca del Vello d’Oro, navigando su un’imbarcazione-clone dell’Età del Bronzo, e novello Odisseo si perde verso Itaca. Ancora, salpa da Muscat, nell’Oman, per la Cina su un vascello arabo sulla rotta di Sindbad il Marinaio.

La sua vita diventa tutt’uno con la leggenda. Segue le tracce dei primi Crociati verso Gerusalemme, affronta il Pacifico su una zattera per provare che i cinesi hanno raggiunto l’America prima di Colombo, cavalca nelle steppe mongole in cerca della tomba di Gengis Khan. Insegue persino le pinne di Moby Dick, il capodoglio albino di Melville, e scopre che è realmente esistito. Annota, filma tutto: i suoi libri e documentari fanno man bassa di premi, tra i quali la Gold Medal della Royal Geographical Society.

Viaggia, in verità, sempre con lo sguardo al passato. «Ho iniziato le mie avventure in un’epoca in cui era rimasto ben poco di esplorato sulla Terra. Intuivo, però, che ci doveva essere una dimensione nuova: la connessione tra storia, geografia e mito. Grazie a questa quarta dimensione ho potuto fare un passo indietro nel passato e nello spazio geografico, diventando un viaggiatore nel tempo», spiega.

Severin, che oggi vive nella campagna irlandese di Timoleague, spiega che la sua è stata un’escalation. «Dopo aver trascorso buona parte della mia vita a raccogliere informazioni sulle leggende dei grandi viaggi, ho deciso che era giunto il momento di mettermi in gioco».

Questo il punto, e anche il segreto. «Credo ci sia ancora molto da scoprire. Chi si mette a sfogliare le pagine di un Atlante, deve fare di tutto per soddisfare le sue curiosità. E se le sue ricerche non trovano risposte alla domanda che si è posto in principio, allora deve partire. E da qui che comincia il viaggio. L’importante, però, se si decide di viaggiare, è farlo con un’idea di ricerca. Solo così si può giungere a scoperte personali».

Resta da capire se c’è ancora qualcosa da scoprire. L’ultimo Ulisse è convinto di sì. «Le immense profondità degli Oceani, ad esempio, di cui sappiamo ancora meno di quello che ci è noto della luna. Oppure, il cuore della foresta amazzonica: che si nasconde sotto le fronde dei suoi alberi? E ancora, il sottosuolo: con le moderne tecnologie di esplorazioni è possibile avviare nuove osservazioni, in cerca delle tracce di antiche civiltà che con l’archeologia tradizionale non sarebbero mai venute alla luce. Oggi si possono ancora compiere scoperte fondamentali, tanto quanto quella della tomba di Tutankhamon».

È un invito a farlo sognare. «Se avessi di nuovo vent’anni che farei? Intanto, non escludo che un giorno, forse mi avventurerò in un nuovo viaggio. Detto questo, se dovessi ricominciare, sceglierei uno dei tanti misteri irrisolti. Non sappiamo ancora, ad esempio, se in epoca pre-colombiana c’erano già stati contatti tra le Americhe e la Cina attraverso l’Oceano Pacifico».

Se avesse vent’anni oggi, però, avrebbe già visto molto. «I giovani d’oggi hanno già visto molto, ma non tutte le meraviglie del pianeta. Il rischio è che mettendosi in viaggio in cerca dello stesso splendore possano restare delusi: gli schermi Tv ci mostrano sempre solo la parte migliore delle cose».

Inutile dire che il suo «fuoco» non si è ancora spento. «In realtà, continuo a viaggiare, scrivendo romanzi». Ha dato alle stampe una «Trilogia del Vichingo», ora ha aperto un nuovo filone, piratesco, con protagonista il personaggio letterario Hector Lynch («La Rotta dei Corsari» e «Il Bucaniere della Giamaica», Editrice Nord). «Scrivere questi libri è già di per se un’avventura. Tanto stimolante quanto quelle che compio per preparare le mie spedizioni. Ho letto diari e giornali di bordo di uomini che si imbarcarono come bucanieri e pirati nella seconda metà del XVII secolo. Alcune sono stupefacenti: la realtà può davvero superare la fantasia».

domenica 25 aprile 2010

Ostia Antica, necropoli romana scoperta in un cantiere

Ritorna alla luce grazie alla collaborazione tra Acea e Soprintendenza per i beni archeologici di Roma, sede di Ostia una necropoli romana. All’interno del cantiere di Acea Distribuzione Illuminazione pubblica - durante i lavori di sistemazione di un nuovo impianto di illuminazione della parte pedonale del percorso in via Gesualdo, al Parco dei Ravennati ad Ostia Antica, sono stati rinvenuti importanti resti di carattere funerario e strutture murarie risalenti ad epoca romana. Lo scavo, effettuato su incarico di Acea dalla Cooperativa Archeologia, è a cura della direzione scientifica della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, sede di Ostia, e si è svolto con il supporto di un’antropologa collaboratrice del Servizio di Antropologia della Soprintendenza.
Grazie alla collaborazione tra Acea e Soprintendenza, è stato possibile mettere in luce la continuazione dell’ambito necropolare già evidenziato durante i lavori di un precedente cantiere Acea, effettuato nel 2006 nell’angolo Sud-occidentale del Parco dei Ravennati. L’area scoperta durante l’attuale cantiere si estendeva lungo un muro ad angolo, di cui è stata rinvenuta soltanto la fondazione. Le tombe, a inumazione e a incinerazione, sono distribuite in modo caotico, con molteplici riduzioni volontarie per lasciare il posto a inumazioni più recenti. Questa parte della necropoli sembra risalire alla seconda metà del I secolo d.C..
 “Dall’analisi antropologica preliminare gli inumati, nella maggior parte di sesso maschile, sono apparsi appartenere a un livello sociale molto basso, per le numerose tracce di alterazioni scheletriche causate da stress biomeccanici, attribuiti  a un’attività lavorativa particolarmente pesante, che prevedeva un forte impegno funzionale degli arti – prosegue la nota - Inoltre, nell'area di cantiere più vicina alla Stazione della Ferrovia Roma - Lido sono state rinvenute alcune strutture murarie, rasate al livello delle fondazioni, riferibili a due ambienti adiacenti pavimentati con mosaici a disegni geometrici in bianco e nero. Queste strutture possono collegarsi alle altre visibili lungo via della Stazione di Ostia Antica e a quelle scoperte in più punti negli anni passati nei pressi della Stazione e probabilmente riferibili ad ambito commerciale e residenziale. I dati scaturiti da questo intervento si sono rivelati particolarmente interessanti per la ricostruzione delle modalità di utilizzo del territorio immediatamente circostante alla città romana di Ostia Antica”. Lo comunica, in una nota, la Soprintendenza per i beni archeologici di Roma di Ostia.

venerdì 23 aprile 2010

USA. Furono forse i Vichinghi a scoprire il Nuovo Mondo?

La mappa di Vinland, acquistata nel 1958 dal filantropo americano Paul Mellon e in seguito donata alla Yale University, sembra riscrivere la storia sulla scoperta dell’America. Infatti la Scuola di Conservazione dell’Accademia Reale Danese delle Arti ha sottoposto il documento ad un’accurata analisi confermandone l’originalità e la datazione all’anno 1434 circa.
Con questa dichiarazione, la carta costituirebbe la prima rappresentazione delle terre conosciute prima ancora della famosa spedizione di Cristoforo Colombo: Europa, Scandinavia, Africa del Nord, Asia con Estremo Oriente, la Groenlandia e l’ “Isola di Vinland”. Ciò confermerebbe l’ipotesi secondo la quale furono i Vichinghi i primi a raggiungere l’America intorno l’anno Mille, stanziandosi in Canada e fondando un piccolo villaggio denominato Anse aux Meadows, scoperto dagli archeologi nel 1963 e oggi sotto la tutela dell’Unesco.
L’eroe fondatore è il re Leif Eriksson (ca 970 – 1020 d. C) che mise per primo piede nell’attuale Terranova, denominandola Vinland, probabilmente per le viti selvatiche che vi crescevano abbondanti.

Potenza, scoperta una reggia del VI secolo stile Ikea

E’ stata scoperta a Torre Satriano, proprio alle porte di Potenza, una reggia che risale al VI secolo a.C. e che è stata assemblata nello stile di un mobile Ikea: gli archeologi difatti, stando a quanto riferito dalla fonte della rivista “Storica” di National Geographic, hanno scoperto quello che si è rivelato un edifizio opulento e sfarzoso con un tetto a falde i cui pezzi sono quasi tutti segnati con incisioni ed iscrizioni che rappresentano delle vere e proprie istruzioni per il montaggio.
La rivista spiega come si tratti di una costruzione simile ad un tempio dotata di un corpo centrale con un tetto a due falde completo di decorazioni nere e rosse ed un volume posizionato lateralmente con un porticato che dava lustro all’ingresso della magnifica costruzione. Il tetto permetteva che le acque piovane defluissero tramite dei pannelli di abbellimento forniti di gocciolatoi.
Come illustrato alla rivista da parte di Massimo Osanna, direttore della Scuola di Specializzazione in Archeologia all’Università della Basilicata e del progetto di scavo di Torre Satriano, questi pannelli che prendono il nome di “sime“, assieme ad alcune lastre di fregio, recavano istruzioni che spiegavano come montare il tetto; fino ad adesso sono stati riscoperti qualcosa come un centinaio di frammenti scritti dove si vede un numero ordinale al maschile sulle sime ed uno al femminile sul fregio. Si tratta quindi di una specie di libretto di istruzioni che permetteva di identificare ogni parte e componente con l’ausilio di una sigla e, al fine di facilitarne l’assemblaggio, chiariva elementi maschio e femmina, modalità che si usa a tutt’oggi.
Un altro dettaglio importante è poi quello che accomuna, sulla base della somiglianza, i decori del tetto della reggia di Torre Satriano con i frammenti di decoro di un’abitazione rinvenuta a Braida di Vaglio, non molto distante da Torre Satriano; si è quindi ipotizzata la stessa origine e addirittura lo stesso stampo. La zona dei ritrovamenti era collocata a ridosso delle colonne costiere della Magna Grecia ed in quel periodo i signori del luogo si adattavano a quelli che erano i gusti di tendenza greca elevandoli a status symbol: ecco quindi il motivo forse di una produzione che andrebbe a configurarsi come “seriale”.

Messico. Individuate le rovine archeologiche di una città: forse quelle del misterioso impero Purepecha

La scoperta archeologica di una città nel Messico centrale getterà nuova luce sulla storia dell’America precolombiana grazie allo studio delle sue rovine. Le vestigia, riferibili alla civiltà Purepecha, si trovano nel bacino del lago Patzcuaro, vicino alla città di Tzintzutzan, che fu la capitale di un impero poco conosciuto e avversario di quello Atzeco.
Il grande insediamento è stato scoperto l’estate scorsa nello stato centrale del Michoacan da una missione archeologica della Colorado State University guidata da Christopher Fisher. Il ritrovamento e i dati sinora disponibili, però, sono stati presentati soltanto lo scorso weekend in occasione del 75° incontro annuale della Society for American Archaeology, svoltosi a St Louis, nel Missouri.
L’insediamento proto-urbano è stato fondato attorno all’anno mille ed è andato progressivamente svuotandosi verso il 1350 per via del trasferimento di gran parte della popolazione nella nuova capitale, Tzintzutzan, sino al 1500, epoca in cui la città risulta totalmente disabitata. Il centro, che non ha ancora un nome, era abitato da circa 40 mila persone durante il periodo di consolidamento dell’impero Perupecha. La civiltà che abitava questo insediamento era specializzata nella lavorazione del bronzo e del rame.
L’impero Purepecha era esteso e potente quanto quello Atzeco: controllava la zona occidentale del Messico ed era in conflitto con i vicini orientali coi quali non aveva scambi commerciali. Infatti, sono state trovate testimonianze di un violento scontro alla fine del XV secolo durante il quale l’esercito azteco ebbe la peggio.

sabato 17 aprile 2010

Archeologia, studioso italiano scopre necropoli in Georgia

Un’importante scoperta archeologica in Georgia, nella cui parte occidentale si trova l’antica Colchide, ha visto protagonista uno studioso italiano: Livio Zerbini, responsabile del Laboratorio sulle antiche province danubiane dell’università di Ferrara. Nella provincia di Samtskhe, a pochi chilometri di distanza dalla fortezza di Khertvissi, Zerbini, affiancato da Vakhtang Licheli, direttore del dipartimento di Archeologia dell’università “I. Javakhishvili” di Tbilisi, ha rinvenuto una vasta necropoli, sinora sconosciuta e completamente integra. Lungo il percorso che segue l’alta valle del fiume Mtkvari e che conduce al monastero rupestre di Vardzia, a metà tra i villaggi di Tsunda e Tmogvi, in un territorio alquanto impervio, all’interno di una vallata ben celata e nascosta, si addensa una grande quantità di tombe monumentali. La necropoli risulta di straordinario interesse non solo per l’estensione e la numerosità delle sepolture, ma anche per l’arco cronologico rappresentato, che risale al IV-III millennio a.C. sino al III secolo d.C. I primi scavi, compiuti nel settembre dello scorso anno, hanno confermato la rilevanza del sito, che rappresenterà, una delle più interessanti aree archeologiche degli anni a venire, consentendo di gettare una nuova e più nitida luce su questa regione, nonché di meglio definire i contorni di temi e motivi ricorrenti nelle civiltà mediterranee ed orientali.

Giovedì 8 aprile, a Roma, a Palazzo Rondanini alle 11,30, verrà presentato il libro di Zerbini “L’armatura perduta” (Rubbettino) , che nasce della scoperta di un’antica armatura, completa e in ottimo stato di conservazione. Le pagine del volume non soltanto ripercorrono e ricostruiscono le fasi salienti dell’eccezionale scoperta archeologica, ma rappresentano una sorta di viaggio a ritroso nel tempo nell’antica Colchide, in cui la dimensione del mito si percepisce ancora e sembra quasi insita negli stessi luoghi, e in cui l’archeologia, proprio per l’insufficienza di scavi sistematici, risulta ancora inevitabilmente ammantata di quel fascino del mistero della scoperta. Crocevia di importanti vie di comunicazione tra l'Occidente e l'Oriente, la Colchide divenne spesso, nel corso della storia, il centro dell’attenzione di grandi imperi e stati. Come avvenuto di recente, quando la guerra ha ferito questa terra nello scontro tra Russia e Georgia, così accadde anche nel lontano passato. Tremila anni fa, provenienti dal Mediterraneo, approdarono sulle sue rive gli Argonauti, guidati da Giasone alla ricerca del leggendario Vello d'oro. E fu proprio attraverso l’antica Colchide che - nel I sec. a.C. - il generale romano Pompeo Magno passò alla testa del proprio esercito, per arrivare fin quasi al Mar Caspio. Fu, quella, una delle più imponenti ed impegnative spedizioni militari intraprese dai Romani, per sconfiggere definitivamente Mitridate VI Eupatore, re del Ponto, ed estendere il dominio di Roma fino all'Armenia. Non risulta pertanto difficile immaginare come la Georgia, terra al confine tra mito e storia, punto d’incontro di molte e diverse culture e civiltà, si distingua per una straordinaria ricchezza archeologica, un patrimonio immenso del quale, per l’insufficienza di scavi sistematici, si conosce ancora piuttosto poco. Alla presentazione del libro, oltre l’autore, interverranno Patrizio Bianchi, presidente Fondazione Crui, Konstantin Gabashvili, ambasciatore della Georgia, Mounir Bouchenaki, direttore generale Iccrom, Angela Donati, università di Bologna; Roberto Giacobbo, vicedirettore Rai 2, Andreas Steiner, caporedattore “Archeo” e il professor Licheli.
 

mercoledì 14 aprile 2010

Antica città scoperta nella fitta foresta pluviale amazzonica

Un'antica città è stata scoperta nella fitta foresta pluviale dell'Amazzonia e potrebbe rivelare i segreti di una tribù leggendaria. Poco si sa del Popolo delle Nuvole del Perù, un'antica civiltà di pelle bianca distrutta dalle malattie e dalle guerre nel sec. XVI, del quale ora gli archeologi hanno scoperto un insediamento. La tribù aveva la pelle bianca e i capelli biondi, due caratteristiche che intrigano gli storici, poiché non si conoscono altri popoli simili agli Europei nella regione, dove la maggior parte degli abitanti autoctoni è di pelle piuttosto scura.
La città perduta è stata scoperta da un gruppo d'archeologi in mezzo alla giungla, in una delle zone più remote dell'Amazzonia. Si trova al bordo di un abisso naturale, che la tribù poteva usare come difesa, per spiare l'arrivo dei nemici.
I Chachapoyas, chiamati anche Guerrieri delle Nuvole, erano un popolo andino e vivevano nelle foreste dense di nebbie della regione amazzonica dell'attuale Perù. Il territorio dei Chachapoyas è compreso nella regione triangolare costituita dalla confluenza del fiumi Utcubamba e Marañon, nella zona di Bagua, fino al bacino del fiume Abiseo. Le dimensioni del Marañon ed il terreno montagnoso hanno fatto in modo che la regione fosse relativamente isolata.
Il Popolo delle Nuvole controllava un tempo un ampio territorio, esteso attraverso le Ande del nord del Perù sino alla giungla amazzonica. Poi furono sottomessi dagli Incas.
Sino a poco tempo fa, molto di ciò che si sapeva su questa civiltà perduta proveniva dalle leggende degli Inca. La loro cultura è nota per la fortezza di Kuellap, sulla cima d'una montagna in Utcubamba, che può essere confrontata per le sue dimensioni soltanto al rifugio Inca di Machu Picchu, costruito qualche secolo dopo. Persino il nome con cui essi chiamavano se stessi è sconosciuto. Il termine Chachapoyas, o ‘Popolo delle Nuvole', fu dato loro dagli Incas, perché vivevano in foreste pluviali piene di foschia, simile a nuvole. Dopo l'arrivo degli Spagnoli, essi parteggiarono per i nuovi colonialisti contro gli Incas, ma furono dalle epidemie delle malattie portate dagli europei, quali il morbillo e il vaiolo.
I resti dei loro insediamenti, che risalivano al nostro sec. IX, furono poi distrutti dai saccheggi, lasciando poco agli archeologi da potere studiare. Alcuni di questi resti erano già stati identificati e studiati, ma gli scienziati nutrono grandi speranze nell'ultimo ritrovamento, compiuto da una spedizione nel distretto di Jamalca, nella provincia peruviana di Utcubamba, circa 800 km a nord-est della capitale, Lima. Secondo l'archeologo Benedict Goicochea Perez, il loro insediamento principale era fatto di case di pietra circolari e ricopriva un'area di oltre 50.000 metri quadrati (cinque ettari). Dipinti rupestri coprono alcune delle fortificazioni e vicino alle dimore ci sono piattaforme, che si crede servissero per frantumare i semi e le piante a fini alimentari e per estrarne principi curativi per le medicine.
Due anni fa, gli archeologi hanno trovato una sepoltura sotterranea costruita a volta all'interno di una caverna con cinque mummie, due intatte con pelle e capelli. Il cronista dei Chachapoyas, Pedro Cieza il de Leon scrisse di questa tribù: ‘Sono il più bianco ed il più bello di tutti i popoli che ho veduto e le loro mogli erano così belle che, a causa della loro raffinatezza, molte di loro hanno meritato di diventare mogli degli Incas ed anche di essere prese presso il Tempio del Sole. Le donne ed i loro mariti sono vestiti sempre in vestiti di lana e sulle loro teste portano i loro llautos (turbanti di lana), un segno che indossano per essere riconosciuti ovunque'.