domenica 25 aprile 2010

Ostia Antica, necropoli romana scoperta in un cantiere

Ritorna alla luce grazie alla collaborazione tra Acea e Soprintendenza per i beni archeologici di Roma, sede di Ostia una necropoli romana. All’interno del cantiere di Acea Distribuzione Illuminazione pubblica - durante i lavori di sistemazione di un nuovo impianto di illuminazione della parte pedonale del percorso in via Gesualdo, al Parco dei Ravennati ad Ostia Antica, sono stati rinvenuti importanti resti di carattere funerario e strutture murarie risalenti ad epoca romana. Lo scavo, effettuato su incarico di Acea dalla Cooperativa Archeologia, è a cura della direzione scientifica della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, sede di Ostia, e si è svolto con il supporto di un’antropologa collaboratrice del Servizio di Antropologia della Soprintendenza.
Grazie alla collaborazione tra Acea e Soprintendenza, è stato possibile mettere in luce la continuazione dell’ambito necropolare già evidenziato durante i lavori di un precedente cantiere Acea, effettuato nel 2006 nell’angolo Sud-occidentale del Parco dei Ravennati. L’area scoperta durante l’attuale cantiere si estendeva lungo un muro ad angolo, di cui è stata rinvenuta soltanto la fondazione. Le tombe, a inumazione e a incinerazione, sono distribuite in modo caotico, con molteplici riduzioni volontarie per lasciare il posto a inumazioni più recenti. Questa parte della necropoli sembra risalire alla seconda metà del I secolo d.C..
 “Dall’analisi antropologica preliminare gli inumati, nella maggior parte di sesso maschile, sono apparsi appartenere a un livello sociale molto basso, per le numerose tracce di alterazioni scheletriche causate da stress biomeccanici, attribuiti  a un’attività lavorativa particolarmente pesante, che prevedeva un forte impegno funzionale degli arti – prosegue la nota - Inoltre, nell'area di cantiere più vicina alla Stazione della Ferrovia Roma - Lido sono state rinvenute alcune strutture murarie, rasate al livello delle fondazioni, riferibili a due ambienti adiacenti pavimentati con mosaici a disegni geometrici in bianco e nero. Queste strutture possono collegarsi alle altre visibili lungo via della Stazione di Ostia Antica e a quelle scoperte in più punti negli anni passati nei pressi della Stazione e probabilmente riferibili ad ambito commerciale e residenziale. I dati scaturiti da questo intervento si sono rivelati particolarmente interessanti per la ricostruzione delle modalità di utilizzo del territorio immediatamente circostante alla città romana di Ostia Antica”. Lo comunica, in una nota, la Soprintendenza per i beni archeologici di Roma di Ostia.

venerdì 23 aprile 2010

USA. Furono forse i Vichinghi a scoprire il Nuovo Mondo?

La mappa di Vinland, acquistata nel 1958 dal filantropo americano Paul Mellon e in seguito donata alla Yale University, sembra riscrivere la storia sulla scoperta dell’America. Infatti la Scuola di Conservazione dell’Accademia Reale Danese delle Arti ha sottoposto il documento ad un’accurata analisi confermandone l’originalità e la datazione all’anno 1434 circa.
Con questa dichiarazione, la carta costituirebbe la prima rappresentazione delle terre conosciute prima ancora della famosa spedizione di Cristoforo Colombo: Europa, Scandinavia, Africa del Nord, Asia con Estremo Oriente, la Groenlandia e l’ “Isola di Vinland”. Ciò confermerebbe l’ipotesi secondo la quale furono i Vichinghi i primi a raggiungere l’America intorno l’anno Mille, stanziandosi in Canada e fondando un piccolo villaggio denominato Anse aux Meadows, scoperto dagli archeologi nel 1963 e oggi sotto la tutela dell’Unesco.
L’eroe fondatore è il re Leif Eriksson (ca 970 – 1020 d. C) che mise per primo piede nell’attuale Terranova, denominandola Vinland, probabilmente per le viti selvatiche che vi crescevano abbondanti.

Potenza, scoperta una reggia del VI secolo stile Ikea

E’ stata scoperta a Torre Satriano, proprio alle porte di Potenza, una reggia che risale al VI secolo a.C. e che è stata assemblata nello stile di un mobile Ikea: gli archeologi difatti, stando a quanto riferito dalla fonte della rivista “Storica” di National Geographic, hanno scoperto quello che si è rivelato un edifizio opulento e sfarzoso con un tetto a falde i cui pezzi sono quasi tutti segnati con incisioni ed iscrizioni che rappresentano delle vere e proprie istruzioni per il montaggio.
La rivista spiega come si tratti di una costruzione simile ad un tempio dotata di un corpo centrale con un tetto a due falde completo di decorazioni nere e rosse ed un volume posizionato lateralmente con un porticato che dava lustro all’ingresso della magnifica costruzione. Il tetto permetteva che le acque piovane defluissero tramite dei pannelli di abbellimento forniti di gocciolatoi.
Come illustrato alla rivista da parte di Massimo Osanna, direttore della Scuola di Specializzazione in Archeologia all’Università della Basilicata e del progetto di scavo di Torre Satriano, questi pannelli che prendono il nome di “sime“, assieme ad alcune lastre di fregio, recavano istruzioni che spiegavano come montare il tetto; fino ad adesso sono stati riscoperti qualcosa come un centinaio di frammenti scritti dove si vede un numero ordinale al maschile sulle sime ed uno al femminile sul fregio. Si tratta quindi di una specie di libretto di istruzioni che permetteva di identificare ogni parte e componente con l’ausilio di una sigla e, al fine di facilitarne l’assemblaggio, chiariva elementi maschio e femmina, modalità che si usa a tutt’oggi.
Un altro dettaglio importante è poi quello che accomuna, sulla base della somiglianza, i decori del tetto della reggia di Torre Satriano con i frammenti di decoro di un’abitazione rinvenuta a Braida di Vaglio, non molto distante da Torre Satriano; si è quindi ipotizzata la stessa origine e addirittura lo stesso stampo. La zona dei ritrovamenti era collocata a ridosso delle colonne costiere della Magna Grecia ed in quel periodo i signori del luogo si adattavano a quelli che erano i gusti di tendenza greca elevandoli a status symbol: ecco quindi il motivo forse di una produzione che andrebbe a configurarsi come “seriale”.

Messico. Individuate le rovine archeologiche di una città: forse quelle del misterioso impero Purepecha

La scoperta archeologica di una città nel Messico centrale getterà nuova luce sulla storia dell’America precolombiana grazie allo studio delle sue rovine. Le vestigia, riferibili alla civiltà Purepecha, si trovano nel bacino del lago Patzcuaro, vicino alla città di Tzintzutzan, che fu la capitale di un impero poco conosciuto e avversario di quello Atzeco.
Il grande insediamento è stato scoperto l’estate scorsa nello stato centrale del Michoacan da una missione archeologica della Colorado State University guidata da Christopher Fisher. Il ritrovamento e i dati sinora disponibili, però, sono stati presentati soltanto lo scorso weekend in occasione del 75° incontro annuale della Society for American Archaeology, svoltosi a St Louis, nel Missouri.
L’insediamento proto-urbano è stato fondato attorno all’anno mille ed è andato progressivamente svuotandosi verso il 1350 per via del trasferimento di gran parte della popolazione nella nuova capitale, Tzintzutzan, sino al 1500, epoca in cui la città risulta totalmente disabitata. Il centro, che non ha ancora un nome, era abitato da circa 40 mila persone durante il periodo di consolidamento dell’impero Perupecha. La civiltà che abitava questo insediamento era specializzata nella lavorazione del bronzo e del rame.
L’impero Purepecha era esteso e potente quanto quello Atzeco: controllava la zona occidentale del Messico ed era in conflitto con i vicini orientali coi quali non aveva scambi commerciali. Infatti, sono state trovate testimonianze di un violento scontro alla fine del XV secolo durante il quale l’esercito azteco ebbe la peggio.

sabato 17 aprile 2010

Archeologia, studioso italiano scopre necropoli in Georgia

Un’importante scoperta archeologica in Georgia, nella cui parte occidentale si trova l’antica Colchide, ha visto protagonista uno studioso italiano: Livio Zerbini, responsabile del Laboratorio sulle antiche province danubiane dell’università di Ferrara. Nella provincia di Samtskhe, a pochi chilometri di distanza dalla fortezza di Khertvissi, Zerbini, affiancato da Vakhtang Licheli, direttore del dipartimento di Archeologia dell’università “I. Javakhishvili” di Tbilisi, ha rinvenuto una vasta necropoli, sinora sconosciuta e completamente integra. Lungo il percorso che segue l’alta valle del fiume Mtkvari e che conduce al monastero rupestre di Vardzia, a metà tra i villaggi di Tsunda e Tmogvi, in un territorio alquanto impervio, all’interno di una vallata ben celata e nascosta, si addensa una grande quantità di tombe monumentali. La necropoli risulta di straordinario interesse non solo per l’estensione e la numerosità delle sepolture, ma anche per l’arco cronologico rappresentato, che risale al IV-III millennio a.C. sino al III secolo d.C. I primi scavi, compiuti nel settembre dello scorso anno, hanno confermato la rilevanza del sito, che rappresenterà, una delle più interessanti aree archeologiche degli anni a venire, consentendo di gettare una nuova e più nitida luce su questa regione, nonché di meglio definire i contorni di temi e motivi ricorrenti nelle civiltà mediterranee ed orientali.

Giovedì 8 aprile, a Roma, a Palazzo Rondanini alle 11,30, verrà presentato il libro di Zerbini “L’armatura perduta” (Rubbettino) , che nasce della scoperta di un’antica armatura, completa e in ottimo stato di conservazione. Le pagine del volume non soltanto ripercorrono e ricostruiscono le fasi salienti dell’eccezionale scoperta archeologica, ma rappresentano una sorta di viaggio a ritroso nel tempo nell’antica Colchide, in cui la dimensione del mito si percepisce ancora e sembra quasi insita negli stessi luoghi, e in cui l’archeologia, proprio per l’insufficienza di scavi sistematici, risulta ancora inevitabilmente ammantata di quel fascino del mistero della scoperta. Crocevia di importanti vie di comunicazione tra l'Occidente e l'Oriente, la Colchide divenne spesso, nel corso della storia, il centro dell’attenzione di grandi imperi e stati. Come avvenuto di recente, quando la guerra ha ferito questa terra nello scontro tra Russia e Georgia, così accadde anche nel lontano passato. Tremila anni fa, provenienti dal Mediterraneo, approdarono sulle sue rive gli Argonauti, guidati da Giasone alla ricerca del leggendario Vello d'oro. E fu proprio attraverso l’antica Colchide che - nel I sec. a.C. - il generale romano Pompeo Magno passò alla testa del proprio esercito, per arrivare fin quasi al Mar Caspio. Fu, quella, una delle più imponenti ed impegnative spedizioni militari intraprese dai Romani, per sconfiggere definitivamente Mitridate VI Eupatore, re del Ponto, ed estendere il dominio di Roma fino all'Armenia. Non risulta pertanto difficile immaginare come la Georgia, terra al confine tra mito e storia, punto d’incontro di molte e diverse culture e civiltà, si distingua per una straordinaria ricchezza archeologica, un patrimonio immenso del quale, per l’insufficienza di scavi sistematici, si conosce ancora piuttosto poco. Alla presentazione del libro, oltre l’autore, interverranno Patrizio Bianchi, presidente Fondazione Crui, Konstantin Gabashvili, ambasciatore della Georgia, Mounir Bouchenaki, direttore generale Iccrom, Angela Donati, università di Bologna; Roberto Giacobbo, vicedirettore Rai 2, Andreas Steiner, caporedattore “Archeo” e il professor Licheli.
 

mercoledì 14 aprile 2010

Antica città scoperta nella fitta foresta pluviale amazzonica

Un'antica città è stata scoperta nella fitta foresta pluviale dell'Amazzonia e potrebbe rivelare i segreti di una tribù leggendaria. Poco si sa del Popolo delle Nuvole del Perù, un'antica civiltà di pelle bianca distrutta dalle malattie e dalle guerre nel sec. XVI, del quale ora gli archeologi hanno scoperto un insediamento. La tribù aveva la pelle bianca e i capelli biondi, due caratteristiche che intrigano gli storici, poiché non si conoscono altri popoli simili agli Europei nella regione, dove la maggior parte degli abitanti autoctoni è di pelle piuttosto scura.
La città perduta è stata scoperta da un gruppo d'archeologi in mezzo alla giungla, in una delle zone più remote dell'Amazzonia. Si trova al bordo di un abisso naturale, che la tribù poteva usare come difesa, per spiare l'arrivo dei nemici.
I Chachapoyas, chiamati anche Guerrieri delle Nuvole, erano un popolo andino e vivevano nelle foreste dense di nebbie della regione amazzonica dell'attuale Perù. Il territorio dei Chachapoyas è compreso nella regione triangolare costituita dalla confluenza del fiumi Utcubamba e Marañon, nella zona di Bagua, fino al bacino del fiume Abiseo. Le dimensioni del Marañon ed il terreno montagnoso hanno fatto in modo che la regione fosse relativamente isolata.
Il Popolo delle Nuvole controllava un tempo un ampio territorio, esteso attraverso le Ande del nord del Perù sino alla giungla amazzonica. Poi furono sottomessi dagli Incas.
Sino a poco tempo fa, molto di ciò che si sapeva su questa civiltà perduta proveniva dalle leggende degli Inca. La loro cultura è nota per la fortezza di Kuellap, sulla cima d'una montagna in Utcubamba, che può essere confrontata per le sue dimensioni soltanto al rifugio Inca di Machu Picchu, costruito qualche secolo dopo. Persino il nome con cui essi chiamavano se stessi è sconosciuto. Il termine Chachapoyas, o ‘Popolo delle Nuvole', fu dato loro dagli Incas, perché vivevano in foreste pluviali piene di foschia, simile a nuvole. Dopo l'arrivo degli Spagnoli, essi parteggiarono per i nuovi colonialisti contro gli Incas, ma furono dalle epidemie delle malattie portate dagli europei, quali il morbillo e il vaiolo.
I resti dei loro insediamenti, che risalivano al nostro sec. IX, furono poi distrutti dai saccheggi, lasciando poco agli archeologi da potere studiare. Alcuni di questi resti erano già stati identificati e studiati, ma gli scienziati nutrono grandi speranze nell'ultimo ritrovamento, compiuto da una spedizione nel distretto di Jamalca, nella provincia peruviana di Utcubamba, circa 800 km a nord-est della capitale, Lima. Secondo l'archeologo Benedict Goicochea Perez, il loro insediamento principale era fatto di case di pietra circolari e ricopriva un'area di oltre 50.000 metri quadrati (cinque ettari). Dipinti rupestri coprono alcune delle fortificazioni e vicino alle dimore ci sono piattaforme, che si crede servissero per frantumare i semi e le piante a fini alimentari e per estrarne principi curativi per le medicine.
Due anni fa, gli archeologi hanno trovato una sepoltura sotterranea costruita a volta all'interno di una caverna con cinque mummie, due intatte con pelle e capelli. Il cronista dei Chachapoyas, Pedro Cieza il de Leon scrisse di questa tribù: ‘Sono il più bianco ed il più bello di tutti i popoli che ho veduto e le loro mogli erano così belle che, a causa della loro raffinatezza, molte di loro hanno meritato di diventare mogli degli Incas ed anche di essere prese presso il Tempio del Sole. Le donne ed i loro mariti sono vestiti sempre in vestiti di lana e sulle loro teste portano i loro llautos (turbanti di lana), un segno che indossano per essere riconosciuti ovunque'.

Trovato in Perù il "mitico" tempio dei sacrifici umani

Un tempio complesso. di mille anni fa (comprendente una tomba delle vittime di sacrifici umani) è stato trovato sotto le dune spazzate dal vento del Perù del nord-ovest.
La scoperta del complesso, scavato nei pressi della città di Chiclayo tra il 2006 e la fine del 2009, ha confermato la realtà della leggenda di Naylamp, il dio che presumibilmente fondò la civiltà pre-incaica Lambayeque nell'ottavo secolo d.C., in seguito al crollo della civiltà Moche.
Questo perché le prove nel sito archeologico Chotuna di Chornancap indicano che il complesso del tempio può essere appartenuto ai discendenti di Naylamp, suggerendo per la prima volta l'esistenza in carne e ossa di questi presunti discendenti.
La sofisticata cultura Lambayeque, nota anche come Sicàn, era meglio conosciuta come una civiltà di esperti dell'irrigazione all'epoca in cui fu conquistata, nel 1375 d.C., dai Chimú, una civiltà basata anche sulla costa arida del Perù settentrionale.
Gli archeologi sono andati "cercando di decodificare il mistero della leggenda" per un secolo, ha detto il leader dello scavo Carlos Wester La Torre, direttore del Museo Archeologico Nazionale Brüning in Lambayeque. "L'obiettivo era quello di capire le possibili relazioni tra la leggenda orale e le testimonianze archeologiche".
All'interno del complesso ritrovato del tempio è una tomba a forma di piramide, chiamato Huaca Norte, che è stata riempita con gli scheletri di 33 donne.
Due scheletri hanno ancora i capelli originali e alcuni sono mummificati. Tutti mostrano segni di tagli, il che significa che probabilmente furono torturati come parte dei rituali di sacrifici umani.
"Le donne sono tradizionalmente associate con la fertilità, " La Torre ha detto. "Esse sono offerte nelle cerimonie religiose, in cambio di maggiore fertilità e altri eventi benefici, come la pioggia, per esempio."

su LaPortadelTempo

lunedì 5 aprile 2010

Scoperto un sito precolombiano nella Guyana Francese

E’ stata resa nota da pochi giorni sul sito web dell’INRAP, l‘Institut National des Recherches Arqueologiques Preventives, la scoperta di un abitato precolombiano lungo la costa della Guyana Francese, nel Sudamerica. L’INRAP ha infatti identificato negli anni vestigia attribuibili a popolazioni precolombiane amerindie che avrebbero vissuto tra il XIII e il XVI secolo. La scoperta era attesa: fin dal 1988 infatti gli archeologi avevano individuato nell’area un altro importante sito precolombiano. Si sono così susseguite le normali indagini di archeologia “leggera” le ultime delle quali, nel 2009, hanno aperto la via ad uno scavo archeologico.
La costa della Guyana francese è un susseguirsi di collinette sabbiose che, lunghe parecchi km, indicano lo spostamento della linea di costa nel tempo. L’ambiente costiero era piuttosto acquitrinoso, per cui le popolazioni precolombiane prime e coloniali poi privilegiarono queste alture per stabilirvi i loro abitati. Il sito appena scoperto di Sainte-Agathe sorge proprio su una di queste collinette.
Obiettivo dello scavo archeologico è stato quello di individuare le aree di attività dello spazio abitato, obiettivo che però è stato raggiunto solo in parte, a causa di recenti lavori condotti nella zona con mezzi meccanici che hanno in parte compromesso la stratificazione: le strutture archeologiche sono infatti molto mal conservate. Uniche tracce comprensibili sono quelle lasciate dalle concentrazioni di materiale ceramico, sparso su tutta la sommità della collinetta. Proprio in base alla distribuzione spaziale, sperano gli archeologi, sarà possibile dedurre le differenti aree di attività analizzando i reperti.
Le prime datazioni radiometriche effettuate parrebbero indicare un’occupazione del sito tutto sommato recente, dagli inizi del XIV secolo della nostra era fino al XVIII secolo. Queste datazioni, unitamente ai dati forniti dalla ceramica, sono in accordo con altre datazioni per altri siti della regione.
Il rinvenimento di questo sito, e il prosieguo nel futuro degli scavi archeologici, permetteranno di meglio comprendere le dinamiche del popolamento del litorale della Cayenna francese in epoca precolombiana, sul quale si hanno ancora poche conoscenze.

su Archeblog

L'Athenaion di Castro. Fu il Salento l’approdo di Enea in Italia

L’appassionante scoperta archeologica a Castro di un santuario, molto probabilmente dedicato ad Atena, è stata raccontata nel volume curato da Francesco D’Andria, docente di archeologia e direttore della scuola di specializzazione in archeologia classica e medievale all’università di Lecce, Castrum Minervae (Congedo, Galatina 2009, pp. 300, euro 35). Il libro raccoglie i risultati degli scavi compiuti nel 2007 e 2008 che suscitarono ampio interesse nazionale e internazionale: oltre alle riviste scientifiche, se ne occupò anche The Independent con un’intera pagina (« In the steps of a Trojan hero », 27 aprile 2007). 
 
Di probabile origine cretese o greca, popolata dai Messapi per testimonianze che risalgono all’VIII secolo a.C., la fortezza di Castro divenne colonia romana nel 123 a.C. col nome di Castrum Minervae, toponimo derivato dal tempio in onore di Pallade Atena, per i greci, quella che era la dea Minerva per i romani. Ne parlò anche Virgilio nel III libro dell’Eneide, termine finale di una tradizione letteraria che identificava in questo luogo l’approdo di Enea in Italia: «Il porto si curva in arco contro il mare d’oriente, due promontori schiumano sotto l’urto delle onde e il porto vi sta nascosto; gli scogli come torri proiettano due braccia che sembrano muraglie; il tempio è lassù in alto, ben lontano dal mare».
 
La questione dello sbarco dell’eroe troiano è sempre stata dibattuta, sin da epoca umanista, dai letterati salentini, con il luogo dell’arrivo identificato anche in Porto Badisco o Roca Vecchia. Oggi la corrispondenza tra fonti letterarie, dati topografici e nuove scoperte archeologiche, sembra accreditare in modo quasi definitivo l’ipotesi di Castro. «L’impianto di un santuario di Atena a Castro - dice D’Andria - va collegato a tradizioni antiche, adombrate nel mito di fondazione da parte di Idomeneo, e certamente i materiali del VI secolo a.C. si riferiscono ad una frequentazione cultuale già in età arcaica. L’intensificarsi della frequentazione corrisponde al IV e III secolo a.C. e si lega al mondo della Magna Grecia». Gli scavi compiuti nel 2007 riguardarono la zona sud-orientale della cittadina, dalla parte del mare, nelle località Capanne e Muraglie, a ridosso dei resti delle mura messapiche risalenti alla seconda metà del IV secolo a.C. Qui furono rinvenuti frammenti di ceramiche a forme aperte, coppette ad ansa unica, boccali decorati a cerchi concentrici sul fondo e verniciati sull’orlo, che chiaramente sono da collegare a pratiche di libagione. Furono anche ritrovati resti ossei di astragali e ovicaprini, con parti asportate e abrase, indice di pratiche religiose, come la macellazione, la combustione e l’età giovanile degli animali scelti per i sacrifici. 

Emersero contemporaneamente cocci di ceramiche da fuoco, pentole con l’orlo ripiegato all’esterno, che provano un consumo di pasti rituali, così come sono state ritrovate parti di trozzelle provenienti da altre città messapiche, testimonianze di una frequentazione regionale del luogo di culto. Il carattere religioso dell’area sarebbe confermato dagli oggetti in ferro rintracciati, punte di freccia e di lancia, armi che rimandano al culto di Atena come in altri siti siciliani e della Magna Grecia dedicati alla dea. È dunque certo che tutta la fascia sud-orientale dell’abitato sia interessata da depositi di carattere votivo per un’area di almeno 35 metri, che corrisponderebbe, nell’insediamento antico, ad un «Athenaion» aperto alla vista del mare e del porto. Pezzi di vasi in marmo, di una statua femminile in calcare a grandezza naturale, il triglifo di un frontone appartenente ad un tempio ne sarebbero ulteriore garanzia. Ma la svolta definitiva è avvenuta nel maggio del 2008, quando gli archeologi Amedeo Galati e Emanuele Ciullo trovarono una statuetta bronzea di Atena Iliaca con elmo frigio. Questa statua ha le stesse caratteristiche di due bronzetti scoperti nel santuario di Atena a Sparta, con una simile postura della gamba sinistra flessa all’indietro, e con indosso il peplo e l’elmo a calotta. Anche il movimento delle braccia richiama gli esemplari spartani che nella destra reggono una «phiale» e nella sinistra una lancia: i tre reperti corrispondono ad un modello statuario comune che è quello di Atena. Come scrisse una volta Strabone, «a Roma Atena viene chiamata Iliaca come se fosse venuta da Ilio».
 
L’«Athenaion» di Castro, oltre ad avvalorare l’importanza religiosa del luogo, attesta anche il significato geografico della sua collocazione, in rapporto alle rotte marine antiche lungo tutto il promontorio iapigio, che comprendeva la parte meridionale del Salento tra Otranto e Leuca. «Il culto di Atena - conclude D’Andria - dea della "metis", appare legato in tutto il Mediterraneo alla navigazione e ai luoghi sul mare che ne segnano punti di riferimento importanti, come i promontori e gli stretti. La presenza di Atena a Castro appare particolarmente significativa perché dall’acropoli si domina tutta la costa sino al capo di Leuca e nei giorni limpidi appaiono nitide le sagome dei monti Acrocerauni, sulla costa albanese. Siamo nel punto più stretto del canale di Otranto». Queste ricerche sono state possibili grazie ad una collaborazione iniziata dieci anni fa con un protocollo tra Comune, soprintendenza per i Beni Archeologici e università del Salento: è un esempio di buona pratica che dà la misura di quali risultati, di rilievo internazionale, sia possibile ottenere se le istituzioni sanno coordinarsi e puntare sulla cultura, cosa che alla fine ripaga sempre, anche in termini di marketing del territorio. Ora a Castro si sta lavorando all’itinerario ai piedi delle mura, attraverso gli orti terrazzati che circondano la cittadina, per ammirare i grandi blocchi costruiti dai Messapi. 


"Trovato l'anello mancante tra la scimmia e l'uomo"

L'anello mancante tra la scimmia e l'uomo sarebbe stato finalmente trovato. Si tratta di una nuova specie di ominide, un bambino, i cui resti saranno mostrati per la prima volta giovedì. La nuova specie si colloca evolutivamente e temporalmente tra l'australopiteco presente in Africa 3,9 milioni di anni fa, e l'Homo habilis, nostro progenitore di 2,5 milioni di anni fa.

La nuova specie non ha ancora un nome. Autore del ritrovamento è stato il sudafricano Lee Berger dell'università di Witwatersrand di Johannesburg nella caverna di Malacapa, nell'area sudafricana di Sterkfontein. La zona è soprannominata "culla dell'umanità". Il professor Berger e i suoi collaboratori non hanno ancora fatto dichiarazioni sull'entità della loro scoperta ma nella comunità internazionale, scrive la stampa britannica, l'aspettativa è molto elevata. Si ritiene che, se la scoperta colmasse davvero alcune lacune nella catena evolutiva, l'intera storia dell'evoluzione potrebbe essere integrata in modo significativo.

Resti di specie analoghe erano stati già trovati in passato, ma si è sempre trattato di ritrovamenti di frammenti di ossa. Esperti che hanno visto lo scheletro del bambino, riporta oggi il Daily Mail di Londra, dicono che presenta caratteristiche dell'Homo habilis, e dicono che potrebbe gettare luce sul periodo in cui i nostri antenati cominciarono a camminare in posizione eretta. Il professor Phillip Tobias, un antropologo che è stato fra i primi a identificare l'Homo habilis come una specie umana nel 1964, ha celebrato la scoperta come "meravigliosa" ed "entusiasmante". "Scoprire un intero scheletro, invece di un paio di denti o un osso di un braccio, è una rarità", ha detto il professor Tobias al Daily Telegraph. "Un conto è trovare una mascella con un paio di denti, un altro trovare una mascella attaccata a un teschio, e tutti e due attaccati a una colonna vertebrale, un bacino e delle ossa pelviche".

Lo scheletro è stato trovato in una cava di calcare, che si ritiene abbia riparato i resti dagli elementi naturali e li abbia preservati intatti. 

venerdì 2 aprile 2010

Göbekli Tepe, l'archeologia sconvolta

Ogni tanto accade. Accade che una scoperta archeologica possa mettere in crisi la linea temporale dell’evoluzione della civiltà nella storia antica. Sta accadendo ora, in Turchia, su alcune colline chiamate Göbekli Tepe vicino alla pianura di Harran, nei pressi del confine siriano. La scoperta riguarda un complesso di templi che risalirebbe addirittura ad migliaia di anni prima della Grande Piramide, intorno a 11.500 anni fa, 6000 anni prima che Stonhenge prendesse forma. E, soprendentemente, tra i 3000 ed i 1500 anni prima di Çatalhöyük, considerato uno degli insediamenti più antichi della storia.
Göbekli Tepe è un sito particolare, come particolare è la dedizione che l’archeologo tedesco Klaus Schmidt ha posto nel suo lavoro negli ultimi dodici anni. L’antica civiltà che ha costruito le rovine di Göbekli Tepe è stata definita "la Roma dell’ era Glaciale", un complesso urbano popolato da cacciatori-raccoglitori dotati di una raffinata cultura religiosa, architettonica e sociale. Il sito fu inizialmente esaminato dall’ Università di Chicago e dall’ Università di Istanbul negli anni ‘60. Dopo la visita del sito, che fu soltanto un "mordi e fuggi" su quello che agli antropologi sembro un cimitero abbandonato risalente al Medioevo, nel 1994 arrivò Schmidt, convinto che in quel luogo ci fosse più che un vecchio cimitero. "Solo l’uomo può aver creato una collina come questa" sostenne Schmidt "E’ chiaro che questo è un sito enorme risalente all’Età della Pietra". Si possono trovare terrazze, cerchi di pietra, pilastri alti sei metri a forma di "T" e monoliti. E come se non bastasse, i rilevamenti radar hanno mostrato come sotto il terreno si celino almeno altre 15 rovine monumentali.
Fino ad ora sono stati portati alla luce alcuni dei 50 pilastri del complesso, uno dei quali, secondo le datazioni, rappresenterebbe l’opera d’arte monumentale più antica del mondo. Su uno dei pilastri è possibile ammirare dei simboli astratti, anche se in realtà l’intero sito è ricoperto da bassorilievi e scultura di animali e piante. Cinghiali selvatici, manzi, leoni, volpi, leopardi, si può trovare di tutto a Göbekli Tepe. Ci sono anche raffigurazioni di esseri umani, scultura semi-umanoidi prive di volti.
La tesi di Schmidt è quella che la cooperazione tra cacciatori e la formazione di questo centro di culto siano nate per esigenze religiose. Il tempio ha costituito il fulcro della città, attorno ad esso è stato costruito tutto il resto. Non si tratta del "tradizionale" insediamento urbano di poche case, qui si parla di una città fatta e finita, con tempi, laboratori specializzati, case. Questa scoperta sta pian piano rivoluzionando il mondo dell’archeologia. Come afferma Ian Hodder, del programma archeologico della Stanford University "Molte persone pensano che questo possa cambiare tutto. Cambio completamente le carte in tavola. Tutte le nostre teorie erano sbagliate".
Le teorie sulla "rivoluzione del Neolitico" hanno sempre sostenuto che tra 10 e 12 mila anni fa agricoltori ed allevatori hanno iniziato a creare villaggi, città, lavori specializzati, scrittura, e tutto ciò che sappiamo delle antiche civiltà. Ma uno dei punti salienti delle vecchie teorie è che sia nata prima la città, o dopo i luoghi di culto. Ora invece sembra che la religione si apparsa prima della vita civilizzata ed organizzata in centri urbani, anzi, che sia quasi stata il motore primario per la creazione di città. Il sito di Göbekli Tepe sembra anche dimostrare che in quella regione sia nata l’agricoltura, oltre che l’architettura domestica.
La mappatura genetica del grano sembra dimostrare che in questa zona siano stati, per la prima volta nella storia, coltivati cereali. Anche i primi maiali selvatici d’allevamento sembra si siano originati qui intorno a 10.000 anni fa. Su sito sono state scoperte oltre 100.000 ossa animali, macellati e cucinati sul posto. Tra gli animali sono state ritrovate gazzelle (circa il 60% del totale delle ossa finora esaminate), pecore, cinghiali e cervi rossi, assieme a dozzine di ossa di uccelli. Tutti questi animali erano selvatici, il che dimostrerebbe la natura di cacciatori della popolazione dell’area. Il problema della diffusione di questa scoperta è alquanto bizzarro: non sta nell’assenza di prove che possano dimostrare inequivocabilmente la sua età, come si potrebbe pensare. Il problema sta nella presenza di troppe prove.
"Il problema con questa scoperta" sostiene Schwartz della John Hopking University "è che è unica". Non sono infatti stati ritrovati altri siti monumentali risalenti all’epoca di Göbekli Tepe, in nessuna parte del mondo. Si è sempre creduto infatti che in quel periodo l’uomo vivesse all’interno di caverne, dipingendole con scene di caccia, o costruendo al limite qualche rifugio in pietra grezza. Addirittura anche dopo il periodo in cui Göbekli Tepe era al suo massimo splendore, per i circa 1500 anni successivi, sembra ci siano pochissime evidenze di edifici anche solo paragonabili a quelli ritrovati nel sito turco. Le mura di Gerico, finora considerate la costruzione monumentale più antica della storia dell’ uomo, sono probabilmente nate più di un millennio dopo Göbekli Tepe.
Questa è una scoperta che potrebbe mettere in discussione la linea temporale sull’evoluzione della civiltà umana. Fino ad ora è stato portato alla luce solo il 5% del sito, ed i lavori procedono senza sosta, tant’è che sul posto sono presenti ben 3 differenti team di archeologi. Gli scavi a Göbekli Tepe procedono lentamente, dato il clima della regione: le temperature estive sono proibitive, durante l’inverno invece le piogge non consentono gli scavi, ed il periodo utile per l’attività archeologica è rappresentato da due mesi durante la primavera e due in autunno.